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Dimmi chi c’è nel Canto 33 dell’Inferno…

di Roberto Barbieri

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Qualche sera fa, quasi per caso, sono stato invitato ad assistere ad una pièce teatrale nel mitico Lo Teatrì di Alghero. Lo Teatrì è probabilmente il teatro più piccolo al Mondo. Ma per quanto in miniatura, è una vera bomboniera artistica, una fucina di idee ed anche un capolavoro di soluzioni tecniche adattate allo spazio disponibile. Piccolo in dimensioni, ma grande in contenuti ed emozioni.

Ideatore e deus ex machina del teatro, ma anche attore, presentatore, regista, attrezzista, scenografo, organizzatore,…è Ignazio Chessa, geniale e vulcanico personaggio algherese.

L’ho incontrato per caso e mi ha invitato, quella sera stessa da lui, ad uno spettacolo teatrale. Un monologo di una ragazza. Altro non sapevo. Non il titolo, non il contenuto.

Ma, seguito lo spettacolo, non ho potuto fare a meno di prendere carta e penna e buttare giù queste righe. Titolo del lavoro, CANTO 33. Scritto e interpretato da Federica Seddaiu, diplomata all’Accademia di Arte Drammatica, con musiche di Luigi Frassetto.

Brava, simpatica e coinvolgente, Federica Seddaiu (cognome decisamente sardo) in questo lavoro racconta suo nonno Peppe, appunto di origini sarde, ma in seguito trapiantato a Roma. Peppe, nato del 1910, si scontra subito con una vita dura e difficile, comune a quasi tutti quelli della sua generazione che hanno vissuto fascismo e guerre. Bambino di sei anni è già servo pastore, costretto a dormire da solo nei boschi ed affrontare da solo paure e pericoli. Ma è intelligente e coraggioso e saprà sempre cavarsela nonostante le mille difficoltà della vita. Finisce in Abissinia, partecipa alla guerra di Spagna (costretto dalla parte sbagliata) e pure alla seconda guerra Mondiale.

Alla fine sposa una ragazza sarda ed a Roma, dove vivono, arrivano figli e nipoti. Riesce a dedicarsi alle sue passioni. In particolare ha un innamoramento per la Divina Commedia, letta per la prima volta da militare. Impara a memoria interi canti e registrerà le sue recitazioni nelle cassette magnetiche che si usavano negli anni ’80.

E quei nastri, ritrovati 40 anni dopo dalla nipote Federica, uniti ai suoi stessi ricordi, diventano l’ispirazione per la pièce teatrale. Una ricerca a ritroso nel tempo verso le proprie radici famigliari. E da qui anche il titolo del lavoro. Era lui, nonno Peppe, che le chiedeva sempre: dimmi chi c’è nel Canto Quinto? E nel Canto Ventiseiesimo? E nel Trentatreesimo? Brunetto Latini? Farinata? Ma, no. Chi c’è nel Canto 33?

Questo spettacolo mi ha fatto anche venire in mente, ed era naturale, le vicende di vita di miei nonni, in particolare del mio nonno paterno. Un uomo del 1892 che, nel 1911, a nemmeno vent’anni, fu sottratto ai campi e spedito nella guerra di Libia. Farà ritorno a casa dopo sette anni, nel 1918, senza mai un solo giorno di licenza, nemmeno quando morì la mamma, mia bisnonna. Era già una fortuna essere rimasto vivo. E in cambio di sette anni di guerra ricevette un pensione da miseria. Non gli bastavano due anni di risparmi per comprarsi un paio di scarpe…

Il secolo scorso è stato molto difficile, soprattutto la prima metà. Ma noi “nipoti” arriviamo dopo e quel passato tende a sfuggirci.

Torniamo però a CANTO 33.

Il monologo è autoironico e divertente, con numerosi riferimenti alla Sardegna, con il simpatico coinvolgimento del pubblico e con la recitazione di alcuni famosi passi dell’Inferno.

Ma quello che mi ha colpito e sento straordinario, al di là dello spettacolo, è l’atto d’amore che questa nipote ha fatto per suo nonno. A lei il passato non è sfuggito. Ha costruito e gli ha dedicato questo lavoro teatrale, arrivando persino a commuoversi quando, proprio in chiusura, chiama affettuosamente suo nonno per nome, Peppe…

Tanti di noi, forse tutti, hanno avuto nonni eccezionali a cui leghiamo con molto affetto la nostra infanzia e adolescenza. Nonni che ci hanno insegnato tanto e dato tanto amore.

Ma quanti nipoti arrivano a restituire questo amore così come ha fatto Federica? Quanti nipoti riescono a mantenere vivo e presente il ricordo del nonno quando non c’è più?

Viviamo in un tempo in cui non esistono neanche più gli album fotografici, e le vecchie foto ingiallite dei nostri nonni si perdono tra i nostri sbiaditi ricordi. Nonni vissuti in un tempo lontano quando non c’erano nemmeno i telefonini.

Certo qualche nipote va a portargli dei fiori ogni tanto. Qualcuno lo fa solo il 2 di novembre. Qualcuno neanche questo. La vita continua, ognuno di noi nipoti alle prese con la propria quotidianità, con i mille problemi della quotidianità.

Ma Federica non è stata una nipote qualsiasi, non si è nascosta dietro l’alibi della quotidianità. Ha trovato il modo, con intelligenza e sensibilità, di rendere omaggio a suo nonno Peppe. Quel bambino che, in tempi lontani e difficili, costretto a badare al gregge sui monti invece che andare a scuola, aveva poi, da grande, studiato gli autori classici e imparato a memoria la Divina Commedia.[/responsivevoice]

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Ignazio Delogu

Ignazio Delogu

un grande intellettuale algherese che pochi conoscono

di Roberto Barbieri

Ignazio Delogu (foto da web)

Grazie infinite al regista Marco Antonio Pani per aver realizzato un documentario sulla figura di Ignazio Delogu, uomo di cultura, scrittore, poeta, professore universitario, traduttore… e molto altro. Nato ad Alghero nel 1928, ma cittadino del Mondo, Ignazio Delogu è stato davvero un intellettuale multiforme ed un attivo protagonista della vita culturale e politica italiana.

Studioso soprattutto di letteratura catalana, spagnola e latino-americana, ha conosciuto personalmente e tradotto scrittori del calibro di Gabriel Garcia Marquez, Pablo Neruda, Rafael Alberti, Ernesto Che Guevara e tanti altri. Come Nanda Pivano importa in Italia la grande letteratura nordamericana, ed in particolare le opere della Beat Generation (J. Kerouac, A. Ginsberg, G. Corso…), Ignazio Delogu traduce in italiano grandi autori di lingua spagnola o catalana e di molti ne diventa amico.

Erano gli anni delle proteste contro la guerra in Vietnam e contro il regime dei colonnelli in Grecia, ma anche dell’entusiastico sostegno al Cile democratico di Salvator Allende, altro amico di Ignazio Delogu. Un sogno, quello cileno, che si infrange per sempre l’11 settembre del 1973. Per la mia generazione, eravamo adolescenti in quei primi anni ’70, le immagini in bianco e nero dell’assalto armato al palazzo presidenziale de La Moneda non potranno più essere dimenticate. E non potrà essere dimenticata la scia di sangue che ne seguì, tra cui, pochi giorni dopo l’assassinio di Allende,  la misteriosa morte di Pablo Neruda.

E Ignazio Delogu fa tutto il possibile per aiutare i suoi amici sudamericani. A Roma, diventa segretario dell’Associazione Italia-Cile, e molti profughi politici verranno aiutati a scappare dal lugubre regime di Pinochet.

E sempre in quegli anni è amico ed attivo collaboratore di Enrico Berlinguer. Frequenta il mondo intellettuale italiano: Guttuso, Moravia, Pasolini, Carlo Levi… e scrive poesie. Ma scrive anche numerose opere, soprattutto saggi, dedicati alla “sua” Sardegna. Insegna in varie Università, tra cui Sassari e Bari, traduce testi e scrive anche sui giornali.

Nei libri che leggevamo in quegli anni, “noi giovani” incontravamo spesso la firma di Ignazio Delogu. Nelle traduzioni, nelle prefazioni o nelle note fuori testo.

Ricordo, tra l’altro, un libro del 1967 dedicato alla vita di Beethoven, mia imperitura passione musicale. Il libro era double-face, allora si usava, e nell’altro verso c’era la vita di Goya, scritta da uno spagnolo e tradotta da Ignazio Delogu.

Nei libri che leggevamo in quegli anni, “noi giovani” incontravamo spesso la firma di Ignazio Delogu. Nelle traduzioni, nelle prefazioni o nelle note fuori testo.

Lessi per la prima volta il suo nome, come traduttore, nel libro di G.G.Marquez: Racconto di un naufrago, edito nel 1976. Ma ricordo soprattutto un piccolo libro, uscito nel 1967, e dedicato alla vita di Beethoven, mia imperitura passione musicale. Dato il mio interesse per Beethoven, comprai ovviamente la pubblicazione che però era double-face (si trattava dei tascabili doppi “Giano bifronte”) e nella seconda metà del libro c’era un saggio su Goya scritto da un autore andaluso, José M.Moreno Galván. Traduzione dallo spagnolo, ovviamente, di Ignazio Delogu. Ma questo libro aveva una particolarità. Proprio all’inizio, come prefazione, si può leggere una lettera personale che Moreno Galván invia ad Ignazio Delogu, e che, come tutte le lettere inizia con: Caro Ignazio,…

Ricordo che quell’inizio inusuale del saggio su Francisco Goya, ove per la prima volta leggevo il nome di Ignazio Delogu, mi rimase impresso. Inoltre quella breve lettera era non solo un ricordo dell’autore per il traduttore, ma anche una finestra che si apriva sugli ultimi anni della dittatura del Caudillo Franco. Non molto dopo, era il 1978, feci il mio primo viaggio in Spagna.  Una bella terra, allora molto diversa da quella di oggi.

Ma il tempo é comunque passato ed Ignazio Delogu, intellettuale davvero multiforme, muore nel 2011.

L’amico regista Marco Antonio Pani si è cimentato nel difficile compito di realizzare un documentario di quasi un’ora e mezza, ma con a disposizione pochissime immagini disponibili del protagonista. Un compito difficile e perfettamente riuscito.

Il risultato è un lavoro di montaggio “d’alta scuola”, con un sapiente equilibrio di spezzoni d’archivio, di grafica creativa e di contributi di persone che hanno conosciuto il protagonista.

Il lavoro scorre con grande fluidità e con un’ottima scelta delle musiche, vagando tra la Carbonia dell’infanzia, l’esplosività intellettuale della Roma del dopoguerra, il Cile di Allende e la Sardegna dipinta dai capolavori di Fiorenzo Serra.

Un grazie quindi al regista ed anche a chi ha collaborato alla realizzazione del documentario, tra cui: la Film Commission sarda, la Società Umanitaria/Cineteca Sarda e l’Omnium Cultural (Ignazio Delogu è stato un fondatore dell’Omnium Cultural de l’Alguer).

Presentazione del film ad Alghero

E’ auspicabile che la cultura sarda continui su questa strada, ovvero dedicare documentari di alto valore storico-artistico ai suoi figli migliori. La Sardegna è stata per secoli molto ingrata nei confronti di tanti suoi figli che molto hanno dato, mossi da nobili ideali, nel campo della cultura. E questo perché spesso incarnavano “pericolose” idee libertarie di giustizia sociale o di autonomia dell’Isola.

E’ ormai nell’aria un film documentario sulla figura di Antonio Simon Mossa, ed è sperabile che seguano altri lavori documentaristici dedicati a figure sarde meritevoli.

Una sola nota stonata. E’ dispiaciuto notare che alla proiezione di un film dedicato ad un grande algherese di levatura almeno europea, non erano presenti il sindaco di Alghero e nemmeno un qualche assessore. Un’assenza che nulla toglie al grande valore documentaristico ed artistico del film ed alle mature capacità registiche di Marco Antonio Pani.

Presentazione del film ad Alghero sulla destra il regista
foto di copertina tratta dal film di Marco A. Pani.
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Il Grande Vecchio di Burantì

di Emmanuele Farris*

In località Burantì-Padre Bellu, comune di Alghero, all’interno di una proprietà privata di Giuseppe Bardino, gestita con amorevole cura, siamo stati ammessi a conoscere un patriarca vegetale di notevole interesse culturale e scientifico sicuramente per il territorio di Alghero, ma probabilmente per l’intera Sardegna e, forse, il Mediterraneo. Continua la lettura di Il Grande Vecchio di Burantì

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Sant’Antonio Abate

di Giovanna Tilocca

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LA CHIESA E L’OSPEDALE DI ALGHERO

Ben pochi algheresi sanno che ad Alghero in via Cavour esisteva un antico ospedale attiguo ad una chiesa. Passando per la strada non si nota alcun segno evidente che possa darci delle informazioni e allora dobbiamo riferirci a vecchi documenti e a testimonianze. Continua la lettura di Sant’Antonio Abate

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Attila ha cambiato idea

di Nino Monti

Non è un segreto che la politica regionale sulla Salvaguardia dell’Ambiente sia in mano a un certo Attila.

Famigerato personaggio che si è distinto in questi ultimi anni, in forza di leggi e regolamenti emanati dalla Regione Sardegna, per aver contribuito alla quasi scomparsa dei ricci di mare.

Breve storia di questa devastazione ambientale: sino a non molti anni fa la pesca di questo gustosissimo frutto di mare era libera. Chiunque, una netta minoranza comunque, poteva pescare i suoi ricci e consumarli in famiglia o con amici. Chi non poteva aveva la possibilità di comprarli dai pescatori che arrotondavano i loro guadagni con questa temporanea attività.

Particolare importante: nella tradizione isolana la stagione di pesca durava da metà dicembre a fine febbraio.

Il consumo, soprattutto nelle belle giornate, avveniva in riva al mare, in buona compagnia di focaccia e vino.

Tutto andava a meraviglia: i ricci si riproducevano con regolarità e l’equilibrio ambientale era mantenuto perfettamente.

Da qualche anno il famigerato Attila ha regolamentato, con leggi specifiche, questo tipo di pesca, inserendo alcuni elementi a dir poco demenziali:

il periodo di pesca è passato dai 2 mesi tradizionali a 6 mesi (novembre aprile), una vera idiozia.

Sono state date delle concessioni a pescatori professionisti che progressivamente sono diventati gli unici abilitati a questo tipo di pesca.

Contemporaneamente non è stato proibito l’uso di conservare la prelibata polpa in vasetto, dando luogo a una sfrenata caccia al riccio per alimentare nuovi consumi, anche extra isola, e a nuove ricette fuori dalla tradizione (spaghetti ai ricci) e altre ancora che meriterebbero l’arresto immediato (pizza ai ricci).

Questa possibilità (la conservazione in vasetto) ha scatenato anche un abusivismo delinquenziale che le autorità impegnate (Guardia Costiera, Forestale e Barracelli) nonostante l’impegno riescono a fatica a controllare.

Nel giro di qualche anno è stata fatta tabula rasa, in Alghero dove i ricci erano abbondantissimi sono introvabili. Stessa sorte in quasi tutta l’isola.

Dopo innumerevoli proteste da parte di comuni cittadini cui si sono aggiunti anche molti ristoratori, il famigerato Attila sembrava convinto a bloccare la pesca per tre anni. Il divieto doveva partire con il primo di febbraio.

D’improvviso Attila, il Devastatore,  ha cambiato idea: ha prolungato il permesso di pesca sino ad aprile.

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Gli orti algheresi del ‘900

del Comitato dei Custodi della Biodiversità Lo Revellì

Gli ortolani algheresi erano famosi per i loro prodotti,  molto apprezzati anche nei dintorni ed in particolare dai sassaresi, ai quali tutto si può negare ma non di non avere il senso dell’umorismo e di non essere dei buongustai. La grande sfida  tra gli ortolani algheresi era quella di essere i primi a produrre dei pomodori che come primizie spuntavano prezzi altissimi. Non si dimentichi che nel periodo di cui parliamo non vi erano le serre, non c’erano importazioni dall’estero. La sera partivano da Alghero i carri pieni di ortaggi per arrivare al mattino ai mercati generali del capoluogo ed anche di altri paesi vicini. Continua la lettura di Gli orti algheresi del ‘900

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Il caso Puigdemont

di Stefano Campus

Presidente dell’Òmnium cultural de l’Alguer

A dicembre del 2017  Carles Puigdemont, con una lettera inviata da Bruxelles,  ringraziava  coloro che in città avevano manifestato pubblicamente supporto e solidarietà a lui, a tutti i suoi compagni in “esilio” e in carcere e a tutto il popolo catalano ed  auspicava di venire quanto prima nella nostra città. Continua la lettura di Il caso Puigdemont

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Cari No Vax algheresi, ricordatevi di Quinto Tiberio Angelerio

di Nino Monti

Questo sito ha proposto qualche mese fa straordinaria storia del medico Quinto Torquato Angelerio che nel 1582, ad Alghero, affrontò con coraggio e grande proffessionalità l’epidemia di peste che stava devastando la città (leggi: Alghero anno 1582, Q.T. Angelerio, il nostro medico eroe) Continua la lettura di Cari No Vax algheresi, ricordatevi di Quinto Tiberio Angelerio

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Giuan Giovetta

di Sardonicus

Era possibile vederlo in pieno inverno nuotare pacificamente al largo della Muraglia, segno che aveva appena terminato un soggiorno obbligato da qualche parte. La sua resistenza al freddo era proverbiale ed a Claut, a tre chilometri da Longarone, dove aveva fatto il militare, ricordavano ancora dopo qualche anno un algherese che faceva il bagno nel fiume ghiacciato. Al Pub Jamaica si poteva vedere una foto di Giuan sorridente dentro una tamburlana con due blocchi di ghiaccio in mano!

Continua la lettura di Giuan Giovetta

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Come nasce l’ospizio marino di Alghero

Copertina del libro di Stefano Campus

Stefano Campus ha pubblicato il suo primo libro dal titolo “Come nasce l’Ospizio Marino di Alghero”. Un’opera che contiene documenti inediti dell’algherese Giuseppe Alberto Larco, il personaggio grazie al quale si dà l’avvio alla realizzazione dell’Ospizio Marino di Alghero con l’obiettivo di eliminare una discriminazione sociale nei confronti dei bambini algheresi. Continua la lettura di Come nasce l’ospizio marino di Alghero

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L’ Alghero di 121 anni fa vista da L.V. Bertarelli

Introduzione al personaggio Luigi Vittorio Bertarelli, grande giornalista e speleologo.

di Marco Busdraghi

Per parlare delle origini del fenomeno turistico dell’era moderna in Italia ed in particolare in Sardegna, non si può non parlare dei meriti del Touring Club Italiano, ed in particolare di uno dei suoi primi presidenti di inizio  secolo, Luigi Vittorio Bertarelli. Continua la lettura di L’ Alghero di 121 anni fa vista da L.V. Bertarelli

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