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Concorso Fotografico “I volti del mare” 2024

“Memorial Roberto Serra”

Classifica Finale
Prima classificata: Valentina Bollea con l’opera “Artista del mare”.
Descrizione dell’opera: Quest’ uomo, un tempo pescatore, oggi per vivere ha iniziato a costruire delle bellissime riproduzioni in legno di barche.
Secondo classificato: Stefano Zaccheddu con l’opera: “Mare mosso”.
Descrizione dell’opera: Karola in una giornata di fine estate, in mezzo a un mare impetuoso….
Terza classificata: Giulia Cherosu con l’opera: “Lacrime di sirena”.
Descrizione dell’opera: Chi ha il mare come casa, piange lacrime salate, quando è costretto a volare via. È la storia di chi ha sempre respirato aria salmastra, ma è costretto a seguire altri venti. Di chi ha il cuore forte, di un’isola che si spopola, di un esodo che passa dal mare, dal cielo e arriva in una terra straniera. Di quelli che il mare lo salutano con un abbraccio, ma non gli dicono mai addio.
Menzioni speciali
Opera di Giuseppe Esposito dal titolo: “Engraved”.
Descrizione dell’opera: Siamo sognatori: viviamo in piccolo, ma pensiamo in grande. Spinti dalla nostalgia e dal coraggio, seppur lontani, costruiamo il nostro percorso oltre ogni distanza. Cullati dal maestrale, amiamo il nostro mare e ne bramiamo l’orizzonte.
Opera di Massimo Meloni dal titolo: “Intrappolata nel mare”.
Descrizione dell’opera: In un’atmosfera cupa e riflessiva, una giovane donna indossa una maschera subacquea, visibilmente intrappolata in una rete da pesca, simbolo dell’impatto umano sull’oceano. Lo sguardo diretto e penetrante comunica determinazione e vulnerabilità allo stesso tempo. L’immagine esprime una potente critica visiva sull’inquinamento marino e la lotta delle creature del mare contro le reti e i detriti. Il contrasto tra il suo volto espressivo e la freddezza della scena evoca un senso di impotenza e connessione con l’ambiente sottomarino, in un monito a proteggere il mare e la vita che contiene.
Opera di Laura Masala dal titolo: “Lupo di mare”.
Descrizione dell’opera: Un vecchio lupo di mare dal volto segnato dal tempo e dalle intemperie. La pelle è abbronzata e rugosa, con profonde linee che raccontano anni trascorsi sulle onde.
Opera di Francesca Pisoni dal titolo: “La Llorona del mare”.
La Llorona è una leggenda sud americana e racconta la tragica storia di una donna che uccide il figlioletto in un fiume, in preda alla disperazione per quello che ha fatto si uccide gettandosi in acqua. Con questa foto ho voluto rappresentare il dolore viscerale e la disperazione di questa donna immersa nelle acque del mare.
La Giuria del Concorso:
Da sinistra Gigi Olivari, Andrea Masala, Maria Grazia Meloni, Gustau Navarro Barba, Presidente Giampaolo Catogno.

Finalisti al concorso I Volti del Mare 2024

Concorrenza
Disfrutar del mar
L'amico dei gabbiani
Vento di maestrale
La Pesca in famiglia
Sguardo sul mare
Astro scompare sotto orizzonte
La speranza
Ultimi raggi di sole
chi si diverte di piu
Il mare ci fa belli
Spensieratezza
Intrappolata nel mare
La vita
Mare mosso…
Lupo di mare
Planare sul mare
La Llorona del mare
Io il mare e il cielo
Nelle reti non solo pesce!
bella
La flama
Lacrime di sirena
Segni di vita
La pesca del giorno, gesti quotidiani
Artisti del mare
La rinascita
Ragazza in spiaggia in una sera d'autunno
La vida ens respirava a contrallum
Cavallerizze e cavalieri
Engraved
Libertà
Il momento perfetto di Alice
Specchio d'acqua
Un quadro marino

“I Volti del Mare 2024” Memorial Roberto Serra

Si è conclusa con una partecipata cerimonia di premiazione, tenutasi presso la sala de Lo Quarter ad Alghero, l’edizione 2024 del concorso fotografico “I Volti del Mare” Memorial Roberto Serra, organizzato dall’associazione culturale Storie di Alghero e dalla Lega Navale sezione di Alghero con il contributo della Famiglia Serra-Mura.

La competizione ha celebrato la straordinaria capacità del mare di ispirare emozioni, racconti e visioni, con una straordinaria partecipazione di artisti e fotografi provenienti da diverse regioni d’Italia.

Il primo premio è stato assegnato a Valentina Bollea, che con la sua opera “L’artista del mare” ha saputo cogliere la poetica bellezza nello sguardo di un uomo di mare. Al secondo posto si è classificato Stefano Zaccheddu, autore di “Mare mosso”, uno scatto che fonde bellezza e l’imprevedibile forza delle onde. Il terzo gradino del podio è stato conquistato da Giulia Cherosu con la suggestiva fotografia “Lacrime di sirena”, una visione delicata e incantevole che evoca il legame tra il mare e il mito.

La giuria ha inoltre conferito quattro menzioni speciali a:

  • Giuseppe Esposito,
  • Massimo Meloni,
  • Laura Masala,
  • Francesca Pisoni.
    Le loro opere si sono distinte per l’originalità e la profondità del messaggio trasmesso.

L’evento ha visto la partecipazione di un pubblico numeroso e attento. Hanno presenziato il presidente dell’associazione Storie di Alghero, Carmelo Murgia, il presidente della Lega Navale sezione di Alghero, Giuseppe Serra, e la giuria del concorso formata da:
Gigi Olivari, Andrea Masala, Maria Grazia Meloni, Gustau Navarro Barba e il Presidente della giuria Giampaolo Catogno. La serata è stata brillantemente condotta da Marco Solinas, che ha saputo sottolineare il valore culturale ed emotivo di ogni opera premiata.

La realizzazione del concorso e della cerimonia è stata resa possibile grazie alla collaborazione con “VEDO – Potere alle immagini” la Fondazione Alghero, Cinzia Sanna, Giuseppe Irranca, Claudio Gabriel Sanna, che hanno dato un contributo significativo per la valorizzazione artistica e organizzativa dell’iniziativa.

Il concorso si è confermato un momento importante per la città di Alghero, non solo per la qualità delle opere presentate, ma anche per il suo significato: rendere omaggio al mare, fonte inesauribile di ispirazione, e onorare la memoria di Roberto Serra, socio della lega navale e appassionato di fotografia.

L’appuntamento è rinnovato per il prossimo anno, con la promessa di nuove emozioni e storie da raccontare attraverso l’obiettivo fotografico.


 

 

 

E-mail: info@storiedialghero.it
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E-mail: alghero@leganavale.it

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Collaborazione con:


 

 

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L’isolotto della Maddalenetta

           di Giuliana Ceravola e Giovanna Tilocca

La Maddalenetta è poco più che uno scoglio affiorante nella rada di Alghero a poca distanza dalla spiaggia di Maria Pia. Eppure la sua vita è stata piuttosto movimentata, a partire da quando vi è stata costruita una chiesetta intitolata a Maria Maddalena, sede di canonicato fin dal 1526[1]. È certo che la chiesa era ancora in funzione nel Settecento. Continua la lettura di L’isolotto della Maddalenetta

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MEDIOEVO – SCHIAVITÙ IN SARDEGNA E AD ALGHERO

di Giovanna Tilocca

La nostra idea di schiavitù si è formata attraverso descrizioni e iconografie molto coinvolgenti che ci mostrano catene, fruste, uomini ammassati nelle stive delle navi, trattati molto peggio delle bestie.
In realtà ci sono molte forme di schiavitù e credo che nessun popolo possa vantarsi di non aver mai praticato tale sfruttamento del lavoro umano. Continua la lettura di MEDIOEVO – SCHIAVITÙ IN SARDEGNA E AD ALGHERO

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Gavino Lorettu grande invalido di guerra

di Carmelo Murgia

All’eta di 87 anni Gavino Lorettu viene intervistato dalla figlia Lucia sui fatti più importanti della sua vita. Il dialogo tra padre e figlia risulta interessante anche perché le domande sono rivolte in algherese, ma le risposte sono date in lingua sarda.

La registrazione (in audiocassetta) inizia con la musica de su “Ballu e su dillaru” suonata con il piffero a 87 anni da Gavino Lorettu. Continua la lettura di Gavino Lorettu grande invalido di guerra

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Anni sessanta – Musica ad Alghero e il gruppo “I CATALANI”

di Giovanna Tilocca

Negli anni Cinquanta-Sessanta, superato il trauma del periodo bellico, il mondo occidentale era in rapida evoluzione e ciascuno poteva sperare in un salto di qualità della vita in tutti gli ambiti. In quegli anni Alghero era rinata e godeva di un particolare clima di entusiasmo e di fiducia nei confronti del roseo futuro che le si presentava. La generazione nata negli anni Quaranta era un vero esercito di giovani di belle speranze; molti frequentavano il Liceo Classico Manno, oppure si iscrivevano ad un Istituto Scolastico di Sassari dove si recavano in treno, per acquisire un titolo di studio che avrebbe permesso loro un inserimento più importante nel tessuto economico e sociale rispetto alle famiglie di origine. La nostra bella città isolata nell’Isola ora sembrava una perla rara da scoprire e valorizzare; aveva una gran voglia di vivere esperienze nuove e di aprirsi al mondo che, grazie all’aeroporto di Fertilia, era diventato più piccolo e più vicino. E soprattutto c’era voglia di musica, di canti e di balli. Alghero, anche grazie ad una nutrita componente di immigrati da Napoli e dintorni che dal Settecento in poi aveva stabilito la propria dimora in città, si avvantaggiava di una tradizione di sonorità mediterranee allegre e briose che sottolineavano temi arguti e spiritosi. Per ricordare alcuni brani posso citare Ciù Franziscu, Ohi Michel davaglia legu, Anem anant, Lu caragol, Giuan Antoni Bichiruiu, accanto a serenate di carattere tipicamente partenopeo come Daspeltata. Alghero amava la musica, compresa quella lirica e ogni anno c’era la stagione operistica; aveva le bande musicali che accompagnavano eventi religiosi e civili e si esibivano spesso; i giovani potevano frequentare uno spazio privilegiato, il Cavallino Bianco, una terrazza sul mare dove nelle belle serate si recavano a ballare. Ben presto anche i luoghi più prestigiosi divennero piste da ballo, ad iniziare dalla rotonda della villa Las Tronas ancora abitata dal Conte di Sant’Elia. Fu poi la volta del Cavallino Bianco, ormai dismesso, dove l’amministrazione comunale costruì i locali per un night club, occupati subito da El Fuego; aprirono inoltre i night club della Torre di Sulis e della torre di san Giacomo. In questo clima così spensierato e nello stesso tempo impegnato, negli anni Cinquanta sono nati uno dopo l’altro, diversi gruppi musicali che allietavano le feste durante il Carnevale, il Capodanno e la stagione estiva quando Alghero accoglieva numerosi turisti italiani e stranieri che trascorrevano da noi le loro vacanze affascinati dalle meravigliose spiagge solitarie alle quali si arrivava soltanto con l’uso di carrozze o delle barche da diporto dei Ceravola, una famiglia stabilitasi in città nel 1870 proveniente da Livorno ma in realtà di origine meridionale con ulteriori apporti da Capri e da Napoli negli ultimi decenni dell’Ottocento. Non è un caso dunque se troviamo questo cognome citato di frequente tra i musicisti e i cantanti algheresi.

Non sto qui a rievocare i numerosi complessi nati fin dai primi anni Cinquanta e arrivo al 1963 quando, dopo aver maturato diverse esperienze, quattro musicisti algheresi decidono di fare un salto di qualità. Iniziano dunque a guardare al di là di Alghero, convinti di avere delle professionalità da proporre anche fuori dall’Isola e fondano il gruppo de I Catalani. Per avere maggiori notizie ho voluto sentire Francesco Chessa, Piero Cunedda e Francesco Balzani, e da loro ho saputo che l’idea era nata dalla collaborazione dei due chitarristi Giovannino Niolu e Angelo Ceravola, iniziata nel 1957 quando, appena diciassettenni, avevano iniziato a suonare insieme nei gruppi che si esibivano nelle sale da ballo. Giovannino era un eccellente chitarrista che, come suol dirsi, aveva la musica nel sangue, ed era in perfetta sintonia con Angelo. Entrambi autodidatti avevano approfondito la conoscenza della musica con lo studio del solfeggio e avevano fatto della chitarra una passione che li ha accompagnati tutta la vita anche se per Giovannino il sogno si è spezzato troppo presto, nel 1971, a causa di un incidente automobilistico. Il Complesso avrà dunque il nome I Catalani che, se da un lato rievoca la funesta dominazione catalana, dall’altro è un richiamo ai Beatles. Infatti il nome del complesso ha una curiosa origine che vale la pena di raccontare.

In quegli anni erano in voga i Beatles. Come si sa la parola inglese beatle significa scarafaggio, blatta. Ad Alghero gli scarafaggi erano indicati con il termine lus cataranz, come a Sassari gli scarafaggi erano li cadarani per sottolineare la repulsione che i dominati provavano per i dominatori. In altre parole I Catalani prendevano il significato di scarafaggi, e non solo di abitanti della Catalogna.

Ora però lasciamo la storia agli storici e parliamo di cose più piacevoli.

Al nuovo complesso formatosi nel corso del 1963, si aprivano occasioni veramente speciali che li avrebbero portati ad esibirsi oltremare, nella riviera adriatica, in Catalogna e a Parigi in occasione dei Giochi Floreali che lus gialmanz cataranz organizzavano ogni anno in una differente città. A Parigi i quattro musicisti erano accompagnati dai fratelli Nonis, convinti catalanisti.

Francesco Chessa, Giovannino Niolu, Piero Cunedda e Angelo Ceravola sulla terrazza del Fuego
Come si può vedere dalla foto, l’abbigliamento è particolarmente curato e comprende camicia bianca con papillon nero, e pantaloni neri. Le varie giacche sono sempre confezionate con un tessuto lamé.

Arriviamo al 2 giugno 1964 quando nel teatro Selva di Alghero I Catalani partecipano alle finali regionali organizzate dall’Enal di Sassari in collaborazione con l’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Alghero, ottenendo il primo posto fra i complessi strumentali isolani. Hanno così la possibilità di rappresentare la Sardegna a Messina alle finali nazionali del concorso che si tengono nell’ambito del Ferragosto Messiniano. Il risultato è stato ottimo in quanto il gruppo si è piazzato al secondo posto. È subito arrivata la proposta di incidere dei brani musicali per la casa discografica Italmusica di Milano. Alla fine del 1964 I Catalani si recano a Milano e incidono due dischi microsolco 45 giri con quattro canzoni, tutte in algherese: l’Ave Maria, Ses coma un’astreglia, Daspeltata e Lu Sulitari.

L’Ave Maria con testo in algherese, musicata da Isabella Montanari, insegnante di pianoforte a Sassari;

Ses coma unastreglia, con parole di Franco Ceravola Rosella e musica di Angelo Ceravola;

Daspeltata, canto tradizionale, conosciuto anche come Serenara a Tareseta con parole di Ramon Cravagliet (Antoni Ciuffo) e musica di Joan Pais;

Lu sulitari, scritta e musicata da Pasqual Gallo che è anche la voce solista del pezzo.

I dischi sono stati venduti in poco tempo e per quanto ci fosse sempre una grande richiesta, non sono stati più stampati.

Il gruppo, che funzionava molto bene a livello strumentale, talvolta si avvaleva delle voci soliste delle cantanti algheresi Marianina Sanna e Gina Marrosu. Nell’ottobre 1965 Piero Cunedda ha dovuto lasciare il complesso in quanto impegnato nella leva militare e la batteria è stata affidata a Francesco Balzani. Nel 1968 anche Francesco Balzani è partito per fare il servizio militare ed è stato sostituito da Tore Mura (Tintinnaia) o da Ignazio Ciampelli fino al suo ritorno.

I Catalani davanti a Villa Mosca e di fronte all’ingresso del night El Fuego

Il Complesso aveva numerosi impegni sempre curati per la parte contrattuale da Francesco Chessa. Quando il quartetto si spostava per raggiungere località al di fuori dall’Isola, prendeva l’aereo nel fine settimana ma il lunedì si tornava alla base perché sia Francesco che Giovannino dovevano proseguire la loro attività lavorativa. I musicisti erano spesati di tutto e avevano buoni ingaggi di gran lunga superiori a quelli che ottenevano ad Alghero.

Bella foto che ritrae il gruppo con la cantante Marianina Sanna al porto di Alghero

Dal mese di aprile e fino a luglio il complesso era richiesto dal night El Fuego, gestito da Nereo Truffo che non badava a spese per avere nei mesi di luglio e agosto artisti conosciuti a livello nazionale ed internazionale come Abbe Lane e suo marito Xavier Cugat. El Fuego era anche l’unico night della Sardegna autorizzato a far esibire spogliarelliste in sala. In quegli anni Alghero ha meritato indiscutibilmente il titolo di Porta d’oro del turismo sardo. I frequentatori dei locali notturni erano agiati commercianti, noti professionisti, dirigenti civili e militari, tutti di una certa età perché i prezzi dei night non erano alla portata dei giovani che dovevano accontentarsi di sale da ballo più modeste.

Oltre che da El Fuego I Catalani venivano ingaggiati dalla Bardana di Gianvittorio Vacca, dalla Torre di Sulis, dall’Whisky a go go, dal Lido Iride di Platamona, dall’Hotel Margherita, dall’Eleonora (albergo dei Fonnesu, al Trò), da El Faro e da altri alberghi nel corso di tutto l’anno, senza differenze stagionali in quanto i locali notturni erano sempre aperti, tranne pochissimi giorni all’anno legati a ricorrenze religiose particolari come ad esempio la Settimana Santa.

I Catalani erano dunque lanciati a proseguire nella loro brillante carriera e col tempo il loro affiatamento e la loro professionalità aveva raggiunto eccellenti livelli. Il vasto programma proposto comprendeva i successi dei Beatles, i ritmi sudamericani, e non mancavano le più recenti canzoni del panorama canoro internazionale.

Come si nota dalle foto i quattro musicisti erano sempre abbigliati con cura e dobbiamo darne il merito al sarto Francesco Chessa, che non solo suonava il contrabbasso nel complesso, ma si occupava anche delle impeccabili giacche tutte in tessuto lamè di vari colori che, da provetto stilista, egli realizzava fornendo ciascun componente di una ricca varietà di capi di abbigliamento da indossare adattandoli ad ogni occasione.

Ottobre 1965 – Foto di Vida pubblicata sull’Unione Sarda: Giovannino Niolu, Angelo Ceravola,
Francesco Balzani e Francesco Chessa

Nell’estate del 1966 I Catalani decisero di trasferirsi in Emilia Romagna alla ricerca dell’occasione che li avrebbe portati ad emergere anche a livello nazionale e vi rimasero per 40 giorni. Giovannino che aveva il negozio di barbiere in quel periodo lo affidò ad un amico, mentre Francesco Chessa non partecipò dato che non poteva lasciare la sua attività per un così lungo periodo di tempo e fu sostituito da Franco Niccu con la sua chitarra basso.

Durante tutto quel periodo il gruppo occupava il piano terra di una villetta a Formignana in provincia di Ferrara e aveva un cuoco d’eccezione dato che Angelino veniva da una lunga tradizione gastronomica familiare. In quei quaranta giorni il gruppo si esibì nei locali notturni e nelle feste di piazza del Veneto, della Riviera romagnola, delle Marche fino a Pesaro e non ebbe un giorno di pausa. I Catalani furono anche chiamati per accompagnare il cantante francese Gilbert Becaud a Contarina in Veneto nel locale Milleluci. La loro professionalità, il loro repertorio molto vasto e meticolosamente curato, stavano dando dei risultati al di là di ogni previsione e certamente se il loro soggiorno si fosse prolungato la loro posizione si sarebbe consolidata tra i complessi italiani. Ma evidentemente non era stato programmato un allontanamento così lungo da Alghero e infine sono dovuti rientrare in città dopo poco più di un mese di permanenza.

Ora in prospettiva si prevedevano quattro giovani musicisti lanciati alla conquista di ulteriori successi mentre Alghero finalmente acquisiva nuova visibilità e si misurava con altre realtà sarde e italiane per ottenere il posto che le spettava nel panorama artistico del momento. I virtuosismi di Giovannino con la chitarra erano molto apprezzati da intenditori e non, e il futuro della Band si presentava ricco di successivi sviluppi. Ma in quell’indecifrabile futuro il destino preparava un evento che in un solo impercettibile attimo ha fatto svanire il sogno. Accadono tanti incidenti, ogni giorno, eppure quasi tutti si risolvono senza conseguenze perché c’è sempre qualcosa che pone un rimedio agli errori. Difficilmente tutto va storto, c’è sempre un quid che evita il peggio. Rare volte le situazioni si svolgono in modo tale che le circostanze si accaniscono e portano tutte verso un tragico epilogo. E in quella domenica del novembre 1971 è accaduto proprio questo. Un banale errore nella manovra, e un albero proprio lì, pronto a fermare la corsa dell’auto ormai ingovernabile di Giovannino Niolu che non ha potuto in alcun modo evitare l’urto terribile che ha messo fine alla sua giovane vita nella pineta di Alghero. Non ci sono parole per esprimere ciò che si prova in occasione di tali tragedie e allora non c’è alternativa al silenzio.

Locandina che annuncia la tournée de I Catalani in Emilia Romagna e in Veneto. Siamo nell’estate del 1966.
Come si può capire dalla locandina, I Catalani avevano ottenuto lusinghieri successi anche in Catalogna dove avevano eseguito il loro repertorio di canzoni algheresi.

A noi che abbiamo attraversato gli anni ora resta soltanto il compito di raccontare gli accadimenti perché, come si usa dire, la vita continua.

Purtroppo la morte di Giovannino a soli 31 anni è stato un grave colpo per I Catalani che avevano perso l’elemento trainante sia musicalmente che emotivamente perché Giovannino era una persona positiva, pronta agli entusiasmi e desiderosa di dare sempre il meglio di sé con la sua amata chitarra.

Preso atto che non era più possibile mantenere il complesso, Angelo, Francesco Chessa e Francesco Balzani hanno chiuso quel capitolo della loro vita anche se in realtà non hanno mai interrotto la loro attività di musicisti.

Angelo Ceravola (Alghero 26.1.1940 – 24.12.2009) nel 1973 ha formato un quartetto con suo cugino Franco Ceravola Rosella che faceva il cantante, con il chitarrista Carmelo Vilardi e con il batterista Pupo Mundula. Il nuovo gruppo ha mantenuto il nome I Catalani. In seguito Pupo Mundula ha abbandonato il complesso che è diventato un trio. Angelo non ha mai lasciato la sua chitarra, fino alla conclusione dei suoi giorni. Era un bravo ed apprezzato disegnatore tecnico, e ha collaborato con diversi ingegneri, architetti e geometri. È venuto a mancare il 24 dicembre 2009 un mese prima di compiere 70 anni.

Francesco Chessa (Alghero 12.10.1934) continua ora alla sua bella età di 90 anni a scrivere musiche per testi quasi tutti in algherese e ha veramente un lungo e ricco curriculum di compositore alle sue spalle. Fino ad alcuni anni fa aveva ancora il negozio di abbigliamento essendo lui stesso un rinomato sarto da uomo.

Piero Cunedda nel 1965 a causa degli obblighi di leva ha dovuto lasciare il complesso ed è stato sostituito da Francesco Balzani; si è anche ritirato dalla squadra di basket Dinamo Sassari dove giocava in serie C. Al suo ritorno ha ripreso l’attività di batterista con varie formazioni che si esibivano soprattutto negli hotel e infine la musica è diventata un passatempo per le serate con gli amici. Gestiva una agenzia di viaggi.

Francesco Balzani (Alghero 25.10.1948) nel 1973 ha formato il complesso gli Isolani e si è esibito in gruppo oppure da solo ad Alghero e in varie località sarde, italiane ed estere fino al 2007. Ha proseguito nella sua attività di musicista compositore che continua ancora oggi nella sua sala di registrazione. Fino a pochi anni fa ha avuto un avviato negozio di mobili.

Tutte le fiabe, quando finiscono, lasciano un bel ricordo che non si spegne neppure quando viene scritta la parola “fine”, e talvolta continuano nel tempo fino a diventare leggende. Oggi possiamo dire che negli anni Sessanta ad Alghero ci sono stati I Catalani, in un momento speciale che la memoria conserva tra le immagini più preziose e felici di un’epoca lontana e favolosa dello scorso Millennio. Per noi sono già una leggenda.

Franco Ceravola Rosella (1940-2023) era molto amico di Giovannino Niolu (1940-1971) e la sua morte prematura lo ha scosso profondamente. A lui ha dedicato una poesia in algherese musicata da suo cugino Angelo Ceravola.

MEMORIA ’71

Parauras de Franco Ceravola

Musica de Angial Ceravola

Coma una gota

calgura nel pou de la durò

ses passat.

Lo cor ascolta

ne la tristura de las cosas

la veu paldura.

Nel camì del tenz molt

lu pansament selca

un so’ dolz de ghiterra

sa cunfundi ama ‘l racolt

i somis, tanta somis calguz

nel camì del tenz molt!

Aschelzus de amisisia i gioz

de giuvantut alegra.

Ma més de tot musica

chi goc (i) ne la musica.

Las manz coma dos pinzels

pintan las notas

i una ghiterra gran coma un sol

canta, riu, prora.

La talda ‘l pansament pres de la por

no vol creura,

ma achel so’ de ghiterra

sa fa agliunt

lu cor, chi astrigniment

chi gliastima

lu che es ver es viu

i prasent

i la durò sa mou

ne l’ampussibra!

Pe’ poc resta lu racolt

ne la talda

de un mamentu paldut!

RICORDO ’71

Parole di Franco Ceravola

Musica di Angelo Ceravola

Come una goccia

caduta nel pozzo del dolore

sei passato.

Il cuore ascolta

nella tristezza delle cose

la voce perduta.

Nel cammino del tempo morto

il pensiero cerca

un dolce suono di chitarra

si confonde con il ricordo

e sogni, tanti sogni caduti

nel cammino del tempo morto!

Scherzi di amicizia e giochi

di allegra gioventù.

Ma più di tutto musica

che gioia nella musica.

Le mani come due pennelli

dipingono le note

e una chitarra grande come un sole

canta, ride, piange.

La sera il pensiero preso dalla paura

non vuol credere,

ma quel suono di chitarra

si fa lontano

il cuore, che struggimento

che pietà

ciò che è vero è vivo

e presente

e il dolore si muove

nell’impossibile!

Per poco resta il ricordo

nella sera

di un momento perduto!

Poesia premiata ai Giochi Floreali di Alghero nel 1973 con la Coppa Joan Pais.

Dagli appunti dell’autore:

Un allegro suono di chitarra si spegne: vien soffocato per sempre dal rombo di una macchina, “cometa metallica” che dopo una folle corsa si schianta. È la morte istantanea, la morte violenta, la morte incredibile; ma le immagini riescono a soffocare la morte.

Esse sono vive, presenti, multiformi.

E se la fine ci si presenta con tutta la sua realtà incombente, in un ultimo impeto si solleva la volontà dell’uomo che con la concretezza della sua vita che continua negli altri sconfigge ogni giorno la morte.

N. B. – Le parole algheresi sono scritte secondo la pronuncia per renderle leggibili a tutti.

Testi e siti consultati:

Maurizio Maiotti e Graziano dal Maso, 1964-1969, I complessi musicali italiani - La loro storia attraverso le immagini, Vol. III (Lettera C), pp. 1425, 1426, 1427
G. Tilocca, Famiglie algheresi dal 1700. La famiglia Ceravola, Edicions de l'Alguer, 2020
Cfr. Storiedialghero.it I favolosi anni Sessanta: il mitico Night El Fuego, di Nino Monti e Carmelo Murgia
Cfr. https://www.blogger.com/blog/post/edit/1269807318449905089/4027146797329018323 Musica anni 50/80 ad Alghero, di Giovanna Tilocca
https://blog.libero.it/nonbasta/ di Franco Ceravola Rosella
https://www.blogger.com/blog/post/edit/1269807318449905089/6327576938574625627 Alghero: la sua musica, di Franco Ceravola Rosella
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I ragazzi dei giardinetti di via Tarragona

di Pietro Piras (noto Piero)

Nel 1961, a seguito dello smantellamento del vecchio cimitero monumentale di Alghero, venne edificata la Chiesa di Nostra Signora della Mercede e presero il via i lavori per la creazione dei campi da tennis e dei giardinetti di via Tarragona. Opere tutte molto importanti che si ricollegavano a quello che sarà lo sviluppo urbanistico della nostra città negli anni a venire.

I giardinetti, oggi Parco Tarragona, occupano un’aria di circa 8100 mq ed oggi come allora sono accessibili dalla scalinata di via Giovanni XXIII, da via Manzoni e da via Tarragona confinando, nella parte che da verso il centro della città con quello che rimane della gloriosa struttura del tennis club di Alghero. In questi ultimi anni i giardinetti, così li chiamavamo noi ragazzini, sono stati interessati da una serie di lavori di riqualificazione del verde e non solo. Laddove campeggiava la grande rotonda, ora vi è un bar molto accogliente, sono state posizionate altalene, scivoli e anche le panchine sono state riviste e ridisegnate con un’ottica diversa rispetto a quella degli anni ‘60. Anche le aiuole e i camminamenti hanno subito dei mutamenti e il prato inglese che puntualmente si seccava nel periodo estivo, per poi riprendersi con le piogge autunnali, oggi mi sembra più curato.

Dal Giugno del 1963 a Maggio del 1976 io e la mia famiglia abbiamo abitato in via Manzoni e, più precisamente, al civico 77 quindi proprio di fronte ai giardinetti che attraversavo tutti i giorni per recarmi prima alle scuole elementari “Maria Immacolata” in via Giovanni XXIII e successivamente alle scuole medie di via Tarragona, oggi Istituto Comprensivo n.2

Devo confessare che la mia frequentazione ai giardinetti per tutti gli anni delle elementari e delle medie fu costante. Anche se i primi anni venivo accompagnato dallo sguardo vigile di mia madre, successivamente acquistai maggiore autonomia e sicurezza tant’è che la sera, dopo aver fatto i compiti, raggiungevo da solo i numerosi bambini che abitualmente giocavano in piena libertà. Come non ricordare i simpaticissimi Giovanni, Gerolamo, Mario, Tonino, Gianni, Tore, Vito, Filippo, Tonino, Luciano, Lelle, Enzo, i miei cugini Flavio, Marco e Roberto. All’epoca erano tutti bambini frequentatori dei nuovi giardinetti ma così come capita sovente, con l’andar del tempo, se ne persero taluni e se ne aggiunsero degli altri.

Da sinistra: Marco, Gimmy e Piero

Fra i tanti amici dell’epoca, ricordo sempre con tanta nostalgia Gimmy: Gimmy non era un bambino, era un cane, uno splendido esemplare di setter Inglese che mi era stato regalato dai miei genitori per la promozione dalla prima alla seconda media. Gimmy era un cane intelligentissimo che giocava con noi ragazzini forse pensando di essere uno di noi e in poco tempo divenne la mascotte di tutti coloro che frequentavano i giardinetti di via Tarragona. Ricordo ancora la volta che entrò da solo alla UPIM di via Sassari alla ricerca di mia madre e di mia sorella Mariangela o la volta che entrò nel campo di gioco del Mariotti durante la partita Alghero – Romulea determinandone la sospensione per qualche minuto. Nonostante siano passati tantissimi anni, il suo ricordo è sempre vivo non solo in me, so per certo che tantissimi vecchi amici lo ricordano ancora.

Nei primi anni Sessanta, il comune aveva sì provveduto alla creazione dei giardinetti, ma non era di certo organizzato come lo è ora il Parco Tarragona, era un’altra cosa forse più campestre, non era un vero e proprio parco giochi ma a noi bambini dell’epoca piaceva così.

Ricordo che venivano praticati una moltitudine di giochi che erano quasi tutti collegati alle stagioni, tranne il calcio. Il calcio veniva praticato tutto l’anno, bastava avere un pallone, dividersi in due squadre e la partita poteva iniziare. Quando non si raggiungeva il giusto numero dei partecipanti e la partita non si poteva fare, si giocava alle sette porte. Il campo di gioco era la grande rotonda posizionata vicino ai campi da tennis, dalla stessa dipartivano a raggiera sette viuzze che costituivano le sette porte ciascuna delle quali doveva essere difesa dal singolo giocatore. Vinceva colui che riusciva, di volta in volta, a segnare nella porta avversaria mantenendo inviolata la propria. Non vi era un termine preciso di durata della partita anche se molte volte le partite si concludevano con il fuggi fuggi dei sette partecipanti soprattutto quando il pallone colpiva, per sbaglio, un bambino o un genitore seduto nelle panchine attorno alla rotonda. Altre volte, quando si raggiungeva un numero di partecipanti tale da poter formare due squadre, si utilizzavano come campo da gioco le aiuole, preferibilmente quelle con un po’ di erbetta, si segnavano le porte con dei cartoni o con maglioni o talvolta cappotti o giacche e il campo era fatto.

Anni 1964/65, Piero con un amichetto dell’epoca

Altro gioco che, se non ricordo male, veniva praticato durante il periodo invernale era quello del“ caval a la paret” . Era un gioco non privo di pericoli che solo dei ragazzini incoscienti potevano esercitare utilizzando come “paret” la rete che separava i giardinetti dai campi da tennis. Altri giochi che impegnavano le serate di noi, ragazzi dei giardinetti erano “caval a la monta”, “brutc”, “bucurì”, “pola” con l’utilizzo delle indimenticabili palline di vetro, “torre de minu gat”, quest’ultimo gioco finiva sempre con lo “zop” che consisteva in risate e baticol al malcapitato che sbagliava la rima.

Durante il periodo invernale e in concomitanza con l’inizio del campionato di calcio, si era soliti fare la raccolta delle figurine dei calciatori per poi scambiare quelle doppie a scuola o ai giardinetti. Era una vera e propria ritualità, ricordo che mio padre ogni anno mi acquistava l’album e mi forniva le 100 lire settimanali che mi servivano per acquistare le figurine.

La raccolta delle figurine, oltre ad avere una funzione educativa, innescava anche un gioco che penso tutti abbiano praticato,almeno una volta, in quegli anni : il gioco dei “Platerets”. Los Platerets, altro non erano che i tappi metallici delle bottiglie di vino, birra o bibite che venivano accuratamente schiacciati verso l’interno. Resta inteso che lo platet doveva mantenere la rotondità della parte esterna del tappo perché solo così poteva ben roteare una volta fatta “l’ alzara” ovvero il lancio in aria dello stesso. Vinceva le figurine messe in palio colui che indovinava il posizionamento della facciata dei tre “platerets” una volta caduti per terra pronunciando, prima della loro caduta, una delle due fatidiche parole crastus o creu.

Per coloro i quali rimanevano nelle proprie abitazioni, il tempo libero poteva trascorrersi o con giochi individuali o seguendo i programmi della TV dei Ragazzi che la Rai, all’epoca, trasmetteva dalle 17.00 alle 18.00 rigorosamente in bianco e nero sul primo canale. Chi non ricorda la serie televisiva del pastore tedesco di Rin Tin Tin e del piccolo caporale Rusty o le interminabili avventure di Lassie propinateci in tutte le salse per oltre un ventennio e che ora costituiscono ricordi indelebili.

Negli anni successivi alla nascita dei giardinetti, si assistette a una inarrestabile crescita di tutte le aree urbane limitrofe a via Manzoni, a via Giovanni XXIII e via Tarragona, che costituivano, per così dire, i confini dei giardinetti. Sorsero nuovi palazzi, si inaugurarono e bitumarono nuove vie dotate di illuminazione ma soprattutto vi fu un incremento della popolazione e delle attività commerciali non certo trascurabile.

Foto aerea dei giardinetti del 1977/78 raffigurante l’impianto a raggiera che li caratterizzava

Tra queste come non ricordare, in via Manzoni, il negozio di generi alimentari di xiu Rafael, la latteria di Sig.ra Maria che d’estate, veniva presa d’assalto dai bambini per acquistare i ghiaccioli e la pizzeria al taglio all’angolo con via Rockfeller.

Con l’arrivo della primavera, si assisteva sempre a una rinascita dei giardinetti e gli alberi, spogli durante il periodo invernale, si presentavano più rigogliosi e ricchi di fogliame. Anche le aiuole subivano una trasformazione in quanto ricoperte da un intenso prato verde e davano un tocco gradevolissimo all’intero complesso.

I giochi primaverili erano i giochi all’aria aperta per antonomasia, le belle serate invogliavano le famiglie a concedersi un po’ di tempo libero e quindi ad accompagnare i propri figli ai giardinetti che pullulavano di bambini di tutte le età.

Ricordo che proprio all’inizio della primavera venivano rispolverate le biciclette, erano i tempi della “Graziella”, dell’Atala 2000 ecc.. che, se non ricordo male, erano caratterizzate dal fatto che il telaio era pieghevole e avevano delle ruote piccole, insomma biciclette che nulla avevano a che vedere con le “vere” biciclette, quelle da corsa o da semi corsa che erano sempre le più apprezzate anche dai ragazzi dell’epoca. Il gioco del calcio era comunque sempre il più praticato e le partite giocate sempre con grande passione duravano per tutta la serata.

Anni 1971/72, i giardinetti. Piero

Con l’inizio della stagione estiva i ragazzi dei giardinetti transumavano, si spostavano per tutta la mattina al mare. I luoghi più frequentati erano la “Spraggetta” sotto l’Hotel Las Tronas, dove tutti abbiamo imparato a nuotare e il “Riservato”, quest’ultimo esclusivamente scogliera, richiedeva una maggiore capacità natatoria e una maggiore attenzione nel camminare sugli scogli. I giardinetti venivano comunque frequentati la sera, prevalentemente, dopo le 18.00 all’ombra dei grandi alberi che arredavano i giardinetti e che consentivano a noi frequentatori di raccontarci e talvolta di cantare, tutti insieme, accompagnati dalla chitarra di Tonino, le canzoni dell’indimenticabile Lucio Battisti.

Alla fine del mese di Settembre, con la riapertura delle scuole, si concludeva la stagione estiva e la frequentazione dei giardinetti subiva un rallentamento visti gli impegni scolastici di noi ragazzini che comunque, non facevamo mai mancare la nostra presenza al cospetto di una importante struttura comunale che era diventata non solo un luogo di giochi e di divertimento ma anche un luogo di incontro, di socializzazione e di amicizia.

Da più di mezzo secolo non sono più un frequentatore dei giardinetti ma non li ho mai dimenticati e quando, talvolta, mi capita di passarci, il ricordo va, inesorabilmente ai tanti amici di ieri e taluni di oggi con cui ho passato intere serate di gioco e di divertimento. Anche la mattina prima dell’esame di Laurea, mi sono concesso qualche minuto di solitudine e di riflessione ripercorrendo, ancora una volta, gli indimenticabili camminamenti dei giardinetti di via Tarragona.

2024, il parco Tarragona. Giochi per i bambini
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Luigi Zagati, una vita di immersioni subacquee

di Roberto Barbieri

Se il sogno di volare in libertà per i cieli si concretizza solo con la macchina volante dei fratelli Wright (1903), il sogno, altrettanto fantastico, di nuotare come i pesci sotto la superficie del mare diventa realtà solo con l’invenzione di un apposito respiratore automatico di aria compressa. E’ l’erogatore Aqua Lung di Cousteau-Gagnan (1943). Continua la lettura di Luigi Zagati, una vita di immersioni subacquee

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La Corallo Sub festeggia i suoi primi 50 anni

di Roberto Barbieri

Lo scorso dicembre 2023 l’Associazione Sportiva Corallo Sub Alghero ha festeggiato i suoi primi 50 anni di vita. La Corallo Sub venne infatti costituita nel lontano 1973 da alcuni subacquei “storici” algheresi tra cui Roberto Coinu, Gianvico Usai e soprattutto Raffaele Foddai, che ne fu l’ispiratore ed il suo primo dinamico presidente. Continua la lettura di La Corallo Sub festeggia i suoi primi 50 anni

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Itinerario semiserio tra le peggiori bettole algheresi

  • di Roberto Barbieri

E’ una sera qualunque del mite, ma ventoso, inverno algherese. Sono con alcuni amici nella sede dell’ANMI (l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia). ANMI? Associazione ché? E dov’è? Chiamata così, pochi la conoscono. -Ah, ma certo, ho capito, vuoi dire il Circolo marinai? Quello che era in piazza Civica? -. Ma si, proprio quello! Continua la lettura di Itinerario semiserio tra le peggiori bettole algheresi

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La signora delle conchiglie

In ricordo di Maria Teresa Spanu

 

di Roberto Barbieri

Recentemente se n’è andata Maria Teresa Spanu. Se n’è andata discretamente, come era nella sua personalità, come era nel suo carattere schivo e modesto. E’ stata maestra di Scuola Elementare, era grande appassionata della biologia del mare, ma era anche molto, molto di più. Innamorata da sempre del meraviglioso mare di Alghero, non si è fermata alla contemplazione estetica dei tramonti su Capo Caccia o alle piacevoli nuotate estive. Ha trovato il modo di avvicinarsi al mondo che è nascosto sotto le onde, pur senza andare sott’acqua. Ha trovato il modo di scoprire molti segreti del mare rimanendo semplicemente su una spiaggia. Ha trovato il modo di entrare in un consesso scientifico internazionale pur senza avere alle spalle un prestigioso istituto oceanografico, anzi lavorando solitaria nella sua villetta immersa nel verde, in un tranquillo angolo di Alghero. Continua la lettura di La signora delle conchiglie

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Lo forn de xià Valeria

di Tonio Mura Ogno

La sveglia era prima dell’alba e con la pasta lievitata si confezionava lo pa punyat, cinque anche sei pani. Un panno bianchissimo foderava lo canistru, dove veniva depositato il pane. Con un segno della croce si benediceva il lavoro e il cibo, e con un altro panno, candido come la neve, lo si copriva. Si usciva di casa che ancora era buio e mia mamma portava lo canistru al cap, tenuto in equilibrio con una mano. Si raggiungeva quindi il forno a legna, a meno di 50 metri. Oggi, esattamente in quel locale di via Ardoino, a due passi dal Palau Gitat (attualmente rimane solo la piazza), si trova una famosa birreria. La maestria del fornaio era impressionante, e il profumo buono del pane cotto invadeva la via e anche la Plaça de San Miquel, dove ancora erano evidenti i resti del bombardamento del ’43. Dopo qualche ora si andava a ritirare il pane, che doveva durare tutta la settimana, praticamente un pane al giorno, anche di meno. Quando il pane cominciava ad indurire si bagnava nel brodo de la copaza di peix, pescato da mio padre da uno scoglio sotto la Torre di Sulis, oppure si bagnava nel caffelatte a base di Miscela Leone. Continua la lettura di Lo forn de xià Valeria

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Alghero, sulle Tracce della preistoria

di Paolo Lombardi.

Nell’immaginario collettivo, Alghero occupa un posto di primo piano nelle mete turistiche più blasonate della Sardegna.
La città portuale così carica di profumo di storia medievale, ci fa vivere un’atmosfera magica, mentre si percorrono i suoi stretti vicoli racchiusi nelle possenti mura che affacciano i bastioni e le torri sul mare a ovest verso la penisola iberica. Il soggiorno ad Alghero offre la vacanza ideale, per gli amanti del mare l’offerta di spiagge dalla sabbia bianchissima e l’acqua verde smeraldo, non mancano certo di aspettative. Continua la lettura di Alghero, sulle Tracce della preistoria

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Fertilia e il Museo della Memoria

Il ricordo delle tragedie della storia non è mai facile. E diventa, a volte, il più importante scopo di vita per chi quelle tragedie ha vissuto. Ovvero ricordare, per mantenere e trasmettere quella memoria, con la speranza che l’uomo impari, capisca, rifletta, e non torni a ripetere le tragedie e le sofferenze del passato. Un messaggio per le nuove generazioni. Continua la lettura di Fertilia e il Museo della Memoria

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