Surigheddu e Mamuntanas

Surigheddu
Surigheddu

Una pagina vergognosa scritta dalla classe dirigente della Regione Sardegna e con essa, in parte, dai dirigenti politici di Alghero, senza distinzioni tra loro, che nulla hanno fatto per eliminare un gravissimo danno economico, che si perpetua da 30 (trenta) anni. Pagina vergognosa scritta a quattro mani con l’alta burocrazia regionale.

Gli antefatti:

Nel luglio 1891 viene fondata a Milano la Cooperativa Agricola Italiana da Augusto Perussia con lo scopo di costituire una società di pubblica utilità che si occupasse di coltivare terre incolte a beneficio della classe contadina.

Un’idea questa bollata dai conservatori come utopica e socialista dovuta anche all’attività del personaggio Perussia, intellettuale sempre in lotta con i contadini contro i latifondisti.

E’ questo retroterra culturale che nel 1897 ad Alghero nasce l’operazione di acquisto dalla signora Maria Lipke, moglie di Alfred von Tirpitz ministro della guerra tedesco, un primo lotto di circa 400 ettari di terreno ai quali si aggiunsero in seguito altre acquisizioni.

Questa iniziativa era agevolata anche da contributi statali statali che favorivano la costituzione di borgate agricole autonome che obbligatoriamente dovevano coinvolgere almeno 50 persone.

Nel 1899 era stata già realizzata una bonifica su 200 ettari destinati alla coltura di frumento e la costruzione di un fabbricato di circa 1.500 metri quadrati ad uso abitativo e dei servizi richiesti dall’attività aziendale.

Contestualmente erano state messe a dimora 1.500 piante di gelso per l’allevamento del baco da seta e dato l’avvio all’attività zootecnica che contava già 600 pecore e 150 capi vaccini.

Nel 1902 la tenuta veniva ribattezzata Milanello Sardo ma, come ben sanno gli algheresi, tale denominazione non fu mai usata.

Nel 1915 muore Augusto Perussia per i postumi della malaria contratta in Sardegna.

Subito dopo cambia l’organizzazione societaria: i soci, cui vengono destinati appezzamenti di 10-15 ettari, lavorano con un contratto di mezzadria mentre la cooperativa si riserva la gestione del caseificio e degli allevamenti. In buona sostanza i soci diventavano dipendenti.

Tra le due guerre mondiali, nel periodo nel quale l’Italia esercitava una sorta di protettorato sull’Albania, a Surigheddu ci fu una presenza di pastori albanesi molto esperti nel fare il formaggio. Una presenza sorprendente dovuta forse a carenza di personale o più verosimilmente a risparmi sui costi. In ogni caso la loro permanenza cessò con l’inizio della guerra.

Finite le ostilità l’azienda che occupava circa 600 persone iniziò un lento periodo di decadimento dovuto in parte alla debolezza della compagine societaria che non era in grado di sostenere gli investimenti necessari in azienda.

L’occasione di un cambio nella proprietà si verificò nel 1948 quando l’industriale milanese Piero Saronio, in visita Alghero per una battuta di caccia, individuò nell’acquisto di Surigheddu la possibilità di fare un buon affare.

Con la proprietà Saronio l’azienda si dedicò soprattutto all’attività zootecnica sotto la direzione di Mario Patta.

Oltre a migliorie sui terreni e fabbricati si provvide a realizzare tra il 1968 e il 1970 un lago collinare della capacità di tre milioni di metri cubi di acqua. Una rivoluzione per la gestione aziendale. La disponibilità abbondante di acqua riduceva quasi del tutto i danni derivanti dalle fasi di siccità molto frequenti in Sardegna e consentiva colture foraggere così importanti per l’allevamento bovino.

Un periodo felice per l’azienda che gestiva un allevamento di ben 320 capi di bestiame e, attraverso nuove acquisizioni, disponeva di una tenuta di 904 ettari.

Periodo felice che non durò molto: nel dicembre 1968 scompare Piero Saronio e nell’aprile del 1975 suo figlio Carlo viene rapito e ucciso da un gruppo terrorista legato alle Brigate Rosse.

Questo gravissimo fatto determina nella famiglia Saronio un progressivo disinteresse verso Surigheddu per quanto la criminalità sarda fosse del tutto estranea al sequestro. Certo deve aver comunque pesato il fatto che in quegli anni questo tipo di reato fosse piuttosto presente nell’isola.

L’azienda fu messa in vendita e acquistata da un nobile siciliano il principe Fugaldi. L’operazione fu accompagnata anche dall’acquisizione da Nando Serra della vicina tenuta di Mamuntanas di 327 ettari.

Inizia purtroppo per le due aziende il tristissimo avvio verso il definitivo collasso accelerato anche dal personaggio Fugaldi, a dir poco equivoco, che si concluse ben presto con il totale abbandono dell’attività produttiva e con gli inevitabili procedimenti giudiziari.

A partire dal 1982 i terreni aziendali erano preda di chiunque volesse pascolare il proprio bestiame.

Nel giugno1986, grazie alle pressioni esercitate dalle forze politiche locali, intervenne la Regione Sardegna che ne acquisì la proprietà.

Siamo arrivati al 2016 e la situazione di Surigheddu e Mamuntanas è rimasta la stessa. Attività inesistente, aggravata anzi anche dagli inevitabili costi che comunque la regione ha sostenuto.

Si può ben dire quindi che se il “decennio Fugaldi” fu disastroso, scomodando la storia della città, il trentennio regionale può, a ben ragione, essere paragonabile ai danni procurati dall’invasione delle cavallette del 1629.

A titolo puramente esemplificativo ricordiamo qui di seguito due episodi, tra le molte proposte di cui si è parlato, che potevano contribuire a portare le due aziende alla piena produttività.

FINE ANNI ‘80

La prima occasione di dare un futuro produttivo a Surigheddu viene servita alla Regione in un piatto d’argento.

Il prof. Andrea Saba, noto economista, allora presidente dello IASM (Istituto per la Assistenza allo Sviluppo del Mezzogiorno), consulente delle Nazioni Unite per progetti di sviluppo industriale, molto attento alle vicende sarde date le sue origini sassaresi, aveva contattato il Consorzio del Parmigiano Reggiano, il più prestigioso gruppo caseario del mondo, per conoscere un loro eventuale interesse su Surigheddu.

Dopo un attento sopralluogo il Consorzio si dichiarò molto interessato e sottopose a prof. Saba la proposta: produrre, su grande scala, mozzarelle ed in seguito altri prodotti caseari a Surigheddu . L’azienda infatti si prestava benissimo per l’allevamento delle bufale grazie alla presenza del laghetto aziendale e della dimensione territoriale.

Il progetto era sintetico ma ottimo e si vedeva la mano di super esperti del settore. Le mozzarelle avrebbero alimentato il mercato sardo e quelli fuori dall’isola.

Erano previsti inoltre investimenti a carico del Consorzio sulle strutture aziendali.

Il prof. Saba, piuttosto soddisfatto, chiese ed ottenne un appuntamento con il Presidente della Regione, on. Mario Melis. L’incontro avvenne a Cagliari alle nove del mattino. Molto gentilmente il presidente Melis(1984-1989) lo accolse con un bicchiere di mirto dicendo che la mattina schiariva le idee. Un po’ sorpreso il prof. Saba pensò si trattasse di una tradizione nuorese.

Molto più sorpreso fu, dopo aver illustrato i vantaggi per lo sviluppo agro industriale che ne sarebbe derivato alla Sardegna e dal rapporto di collaborazione con un Gruppo così importante, si sentì rispondere “la mozzarella non fa parte della tradizione sarda”.

Il progetto fu respinto.

META’ ANNI ‘90

l’Assessore regionale all’agricoltura Prof Antonello Paba informa le varie associazioni di categoria di un bando pubblico regionale che sarebbe stato emanato a breve con l’obiettivo di restituire all’attività economica la tenuta di Mamuntanas.

Le linee guida previste nel bando avrebbero previsto come vincolanti le colture viticole, olivicole e orticole. Naturalmente quelle che vengono maggiormente sollecitate sono le aziende agro alimentari di Alghero che vanta la presenza di primarie società quali Sella & Mosca, San Giuliano e la Cantina sociale di Santa Maria La Palma.

Queste tre aziende, in qualche maniera chiamate in causa, superate alcuni aspetti organizzativi, decidono di partecipare al bando. Costituiscono un consorzio di imprese assieme ad un’importante cooperativa orticola di Sassari.

Viene preparato un progetto esecutivo di utilizzo di Mamuntanas che prevedeva la realizzazione di circa 150 ha. di vigneto, circa 100 ha. di oliveto e una cinquantina di ha. destinati ad orticoltura. Progetto corredato dalle proposte di ordine economico e finanziario a copertura degli importanti investimenti previsti.

Il progetto viene consegnato in Regione con tutti i crismi e procedure previste dalla legge. Il bando prevedeva anche la formazione di un’apposita commissione che avrebbe dovuto esaminare tutte le offerte pervenute.

Misteriosamente gli scatoloni che contenevano il progetto furono consegnati alla Commissione di esame aperti. Cosa che doveva essere fatta in presenza della Commissione stessa. Tanto bastò per rendere non esaminabile il progetto.

Si parlò di un banale errore da parte dell’ufficio protocollo. Resta il fatto che il bando nonostante i solleciti non fu ripresentato e il Consorzio, dopo un paio d’anni fu costretto a sciogliersi.

Ai lettori i commenti.

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