L’isolotto della Maddalenetta

           di Giuliana Ceravola e Giovanna Tilocca

La Maddalenetta è poco più che uno scoglio affiorante nella rada di Alghero a poca distanza dalla spiaggia di Maria Pia. Eppure la sua vita è stata piuttosto movimentata, a partire da quando vi è stata costruita una chiesetta intitolata a Maria Maddalena, sede di canonicato fin dal 1526[1]. È certo che la chiesa era ancora in funzione nel Settecento.

Un atto di morte ci dice che il 17 agosto 1746 tra le sue mura era morta senza sacramenti una donna, Rosa Mera, proveniente dalla Francia, e lì era stata sepolta. In pubblicazioni dell’Ottocento troviamo altre informazioni. Il canonico Angius dice che la Maddalenetta «è tutta vivo scoglio, bassa, inetta a ogni coltura, e priva di animali, della circonferenza di circa un miglio, al cui riparo possono stare bastimenti di mediocre portata. Ebbe quest’appellazione da una chiesetta che vi sorgeva in onore di tale santa[2]».

La Marmora riferisce che nell’Ottocento vi è ancora una piccola chiesa dedicata alla santa che ha dato il nome all’isolotto e che attualmente è abbandonata[3]. Pasquale Cugia (anno 1892) non fa cenno alla chiesa e riporta che l’isoletta era luogo di guardia sanitaria[4]. Egli precisa che: «Negli ultimi tempi faceasi scontare la quarantena o, meglio, i barchi sospetti erano sottoposti alla sorveglianza sanitaria, nell’isolotto della Maddalena[5]».

Intorno al 1950-55 si edificò il faro. Durante i lavori eseguiti dall’Impresa Corbia, sotto i ruderi delle precedenti costruzioni furono ritrovate ossa umane. Questo dettaglio ci ricorda l’uso di seppellire i defunti nelle chiese e il documento dell’Archivio Diocesano ci conferma tale usanza anche per la piccola chiesa di Santa Maria Maddalena. Ci chiediamo a chi fosse concessa tale speciale sepoltura poiché tra tutti gli atti di morte esaminati, ne abbiamo trovato uno soltanto che riporta una inumazione nell’Isoletta. Forse era riservata ai naufraghi che perdevano la vita nelle nostre acque, ma questa è soltanto un’ipotesi.

Carta nautica della rada di Alghero del 1823 dove è chiaramente indicato “Chapelle Madalena”

LA CHIESA DI SANTA MARIA MADDALENA 

La chiesa era dedicata a Maria  Maddalena, che era nata o viveva a Magdala, dove Gesù abitò dopo aver lasciato Nazareth e dove cominciò la sua predicazione; la Maddalena divenne discepola di Gesù ed ebbe un ruolo così importante nella narrazione evangelica, che il teologo Ippolito Romano (170-235 d.C.) l’ha definita “Apostola degli Apostoli”.

La chiesa a lei dedicata potrebbe essere stata edificata tra il XV ed il XVI secolo; infatti viene citata per la prima volta in un documento del 1526, anno della sua elevazione al titolo canonicale. Il 30 gennaio 1805 Don Gianandrea Massala riporta la notizia di un’imbarcazione mercantile proveniente da Livorno, i cui proprietari chiedono di potersi sottoporre alla quarantena nell’isola della Maddalena (richiesta che non fu accolta)[6]; il fatto porterebbe a pensare che all’epoca la chiesa non fosse più officiata. Ciò nonostante il 4 agosto 1816 Don Gianandrea Massala viene nominato Canonico della Cattedrale col titolo della Maddalena, in successione a Don Francesco Marinetto, morto poco tempo prima; Massala muore poi l’11 febbraio del 1817 e il 10 agosto 1817 il canonicato della Maddalena è affidato a Don Carlino Mariotti, «professore di Logica in queste pubbliche scuole»[7]. Nel 1835 «fu disposta la costruzione di un casotto sull’isoletta della Maddalena dove esistevano i ruderi di una vecchia chiesetta, sede di canonicato, per il cui utilizzo fu richiesta e ottenuta l’autorizzazione del Capitolo diocesano algherese[8]». A quell’epoca dunque la chiesa era in rovina da tempo. In città (secondo la tradizione) si dice che la statua lignea sette-ottocentesca ospitata nella nicchia dell’archivolto denominato Porto Salve, sia l’ultima testimonianza rimastaci della chiesa della Maddalena[9].

In “Racconti Algheresi” di Michele Chessa troviamo una descrizione della chiesa. Egli afferma che la costruzione aveva forma ottagonale con una superficie di 224 metri quadrati con un diametro di otto metri. Internamente si trovavano tre altari: l’altare maggiore dedicato a Santa Maria Maddalena Penitente, uno dedicato a San Pietro e uno con la statua della Vergine di Porto Salve. Pare che la statua della Vergine sia quella collocata nella nicchia del portico di Porto Salve costruito nel 1845. Michele Chessa racconta inoltre che ogni domenica e nelle solenni festività religiose un sacerdote accompagnato dal sacrista e dal barcaiolo si recava nella chiesa dell’isola per celebrarvi la messa. Aggiunge che nella buona stagione la chiesa era frequentata da numerosi fedeli; alcuni consumavano il pranzo nell’isoletta e altri si divertivano a pescare. La Maddalenetta attirava i gitanti soprattutto al tempo dei ricci. È certo che gli algheresi frequentano ancora oggi l’isolotto durante l’estate per fare il bagno o per trascorrervi l’intera giornata. È più difficile credere che qualcuno possa ricordare che il prete vi si recava per le celebrazioni dato che abbiamo fondati motivi per ritenere che la chiesa non fosse più in uso già nei primi anni dell’Ottocento, diversamente non ci sarebbe stata la richiesta del 1805 di costruirvi un lazzaretto di legno. Michele Chessa riporta che ha avuto tutte queste notizie dal sacerdote don Antonio Mura Pinicu, ex frate cappuccino diventato rettore della chiesa di San Francesco nel 1909. Don Antonio era una persona molto colta e nel 1910 si era fatto promotore dell’iniziativa per ottenere la ricostruzione della chiesetta sull’isola. Si rivolse alle autorità municipali e alla popolazione ricordando le caratteristiche del vecchio edificio e scrivendone la storia. Fece stampare un manifesto volante presso la tipografia Ubaldo Satta di Sassari con il quale chiedeva agli algheresi un contributo in danaro per poter realizzare il suo progetto ma la proposta non ebbe adesioni e fu presto accantonata[10].

Statua della Madonna di Porto Salve ornata con le offerte dei fedeli. (Foto di Salvatore Scala)
[1]  A. Serra, Le chiese campestri di Alghero, Edizioni del Sole, 2006, p. 72.. 

[2]  V. Angius, Città e villaggi della Sardegna dell'Ottocento, Ilisso, 1833, p. 78

[3]  A. della Marmora, Itinerario dell'Isola di Sardegna, Fratelli Bocca, Torino, 1860, Vol. II p 101

[4]  P. Cugia, Nuovo Itinerario dell'Isola di Sardegna, Tipografia Nazionale E. Lavagna, 1892, Vol I, p. 137

[5]  Ivi, p. 146)

[6]  G. A. Màssala, Giornale di Sardegna, Ed. Poliedro, 2001, p. 79

[7] Libro n.9 delle Giunte Capitolari, conservato nell'Archivio Diocesano di Alghero, pag. 127.

[8]    G. Oppia, Il lazzaretto di capo Galera, Delfino Editore, 2016, p. 177

[9]    A. Serra, op.cit.

[10]  M. Chessa, Racconti Algheresi, Vol. III, La Celere, Alghero, p. 79 e seg.
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