La Maddalenetta è poco più che uno scoglio affiorante nella rada di Alghero a poca distanza dalla spiaggia di Maria Pia. Eppure la sua vita è stata piuttosto movimentata, a partire da quando vi è stata costruita una chiesetta intitolata a Maria Maddalena, sede di canonicato fin dal 1526[1]. È certo che la chiesa era ancora in funzione nel Settecento. Continua la lettura di L’isolotto della Maddalenetta→
La nostra idea di schiavitù si è formata attraverso descrizioni e iconografie molto coinvolgenti che ci mostrano catene, fruste, uomini ammassati nelle stive delle navi, trattati molto peggio delle bestie. In realtà ci sono molte forme di schiavitù e credo che nessun popolo possa vantarsi di non aver mai praticato tale sfruttamento del lavoro umano.Continua la lettura di MEDIOEVO – SCHIAVITÙ IN SARDEGNA E AD ALGHERO→
Ho frequentato il promontorio di Punta Giglio da ragazzo. Sono passati quasi sessanta anni da quando alcuni amici scout, abituali frequentatori del sito, mi hanno fatto conoscere la base militare, abbandonata da un paio di decenni. Continua la lettura di Capodanno a Punta Giglio→
del Comitato dei Custodi della Biodiversità Lo Revellì
Gli ortolani algheresi erano famosi per i loro prodotti,molto apprezzati anche nei dintorni ed in particolare dai sassaresi, ai quali tutto si può negare ma non di non avere il senso dell’umorismo e di non essere dei buongustai. La grande sfidatra gli ortolani algheresi era quella di essere i primi a produrre dei pomodori che come primizie spuntavano prezzi altissimi. Non si dimentichi che nel periodo di cui parliamo non vi erano le serre, non c’erano importazioni dall’estero. La sera partivano da Alghero i carri pieni di ortaggi per arrivare al mattino ai mercati generali del capoluogo ed anche di altri paesi vicini. Continua la lettura di Gli orti algheresi del ‘900→
Basta una rapida osservazione per accorgersi che ad Alghero vi è una gran varietà nelle provenienze dei cognomi. Come in tutte le città di mare, nel corso del tempo, al nostro porto sono arrivati numerosi mercanti e marinai, soprattutto dalle coste del Tirreno. Continua la lettura di Cognomi tedeschi ad Alghero→
Ci ha lasciato Carlo Catardi, serenamente, alla bella età di 95 anni. Come molti algheresi figli di pescatori ha iniziato, sin da bambino, ad avere confidenza con il mare a seguito del padre. Acuto osservatore, il giovanissimo Carlo ha impresso nella propria memoria la realtà del mondo della pesca, della fatica e dei pericoli di un mestiere dignitoso che però a mala pena dava un sostentamento alle loro famiglie. Continua la lettura di In ricordo di Carlo Catardi→
Le coste della Sardegna sono caratterizzate dalla presenza di numerose torri costiere di varie dimensioni: le più grandi chiamate armas o gagliarde, quelle di media grandezza chiamate senzillas, le più piccole chiamate torrezzillas.
Queste ultime, costruite sempre in posizioni tali da poter controllare vasti tratti di mare, erano utilizzate come punti di osservazione e comunicazione tra loro. Una funzione fondamentale per combattere la pirateria che per secoli aveva saccheggiato le coste della Sardegna e, non meno importante, per il controllo del traffico mercantile nei periodi di pandemia.
A queste torri Storie di Alghero.it ha dedicato un ampio servizio indicandone nomi, posizioni e caratteristiche.
Oggi ci dedichiamo a parlare di una di esse: la splendida torre di Tramariglio, costruita intorno al 1575 dagli Aragonesi su un colle che sovrasta il golfo di Porto Conte, con vista sulla torre Nuova, del Bulo, della Pegna e Punta Giglio. Una posizione assolutamente strategica per vigilare su un possibile facile approdo per la presenza di una grande spiaggia.
Classificata tra le torrezillas, la torre è cilindrica a base troncoconica, con base di un diametro di 14 m. e una altezza di 11 m.
E’ raggiungibile attraverso due stretti sentieri: il primo partendo dalla spiaggia di Tramariglio e il secondo, dalla strada che porta all’hotel Capo Caccia, a un centinaio di metri dal suo ingresso.
Oggi, causa lavori che si stanno eseguendo all’interno dell’hotel, l’ingresso di questo sentiero è bloccato da una rete che sbarra la strada, costringendo, per poterlo raggiungere, i tanti visitatori del sito ad aggirare l’ostacolo introducendosi nella fitta macchia mediterranea.
Un blocco chiaramente illegale in quanto si tratta di un sentiero storico, utilizzato da sempre, che il Parco di Porto Conte,con un suo autorevole intervento avrà modo di far eliminare.
Percorrendo questo sentiero, come detto con qualche difficoltà, si sale tra magnifici esemplari di lentischi, palme e ginepri, inondati dai profumi della macchia e rapiti dalla vista meravigliosa che, salendo, si apre sul promontorio di Capo Caccia e sull’intero Porto Conte.
Un sito di una ricchezza ambientale rara, oggi fortunatamente sotto la tutela del Parco Nazionale di Porto Conte e dell’Area Marina Protetta di Capo Caccia.
Particolare della scala interna
Sulla sommità del colle, si erge la torre, oggi piuttosto malconcia a causa della mancanza di manutenzione che risale da metà dell’Ottocento, epoca del suo abbandono.
Sono evidenti danni importanti all’ingresso posizionato a circa 4 metri dal suolo e, non meno importanti, all’interno dove è crollata parte della scala che porta al terrazzo da dove si gode di un panorama straordinario.
Sentiero di accesso alla torre
Compreso purtroppo la visione dell’albergo, oggi in stato di abbandono, che ci porta inevitabilmente agli anni sessanta quando la sua realizzazione fu il frutto di un giusto compromesso tra un oggettivo danno all’ambiente fatto in un’area tra le più belle, se non la più bella, della costa algherese e la contropartita rappresentata dall’occupazione di 200 persone.
Un compromesso oggi inaccettabile all’idea che qualcuno voglia trasformare l’albergo in un condominio. Ma di questo ne parleremo in un prossimo servizio.
Tornando alla torre di Tramariglio, ribadiamo l’urgenza di lavori che riportino la struttura in sicurezza e ne salvino la fruibilità. Alghero non può trascurare un sito di così grande valore storico, ambientale e turistico.
Il 2020 passerà alla storia come l’anno del Covid 19, la micidiale pandemia che ha contagiato e ucciso milioni di persone e devastato l’economia mondiale.
Comparso in Cina nella seconda metà del 2019, si è diffuso rapidamente in tutto il mondo grazie alle centinaia di migliaia di persone che ogni giorno, per ragioni di lavoro o turismo, si muovono in tutti gli angoli del pianeta.
Contrariamente a quanto successo nel 1918-1920 con la Spagnola, pandemia che causò la morte a quasi 50 milioni di persone, non ci sono stati, da parte dei governi, tentativi di minimizzare o nascondere la gravità del problema, fatta eccezione per il governo cinese che ha certamente comunicato in ritardo la comparsa di questo agente patogeno. Un atteggiamento forse dovuto al ritardo nella individuazione e valutazione del suo potenziale distruttivo. Un argomento, questo, che ha dato origine a sospetti e polemiche infinite, in particolare col governo americano.
Com’è ovvio l’argomento è seguitissimo. Trasmissioni TV e giornali seguono quasi con ossessione l’evolversi della situazione attraverso in particolare con personaggi sconosciuti al grande pubblico che in brevissimo tempo sono diventati popolarissimi.
Ci riferiamo a figure professionali come virologi, epidemiologi, immunologi, scienziati ed esperti delle problematiche legate a questa pandemia.
In molti casi accompagnati da altri esperti in scienze statistiche che completavano informazioni di tipo medico-scientifico con numeri e grafici molto sofisticati.
Personaggi, come si diceva, popolarissimi: chi non conosce i nomi di Burioni, Zangrillo, Capua, Galli, Bassetti, Pregliasco e molti altri ancora. Per non parlare di alcune vere e proprie superstar internazionali come Antony Fauci, direttore del prestigioso National Institute of Allergy andInfectiousDiseases americano che si è permesso di smentire e contestare commenti sulla pandemia del presidente Trump ritenuti non corretti.
Personaggi sempre presenti, di giorno e di notte, come magnificamente rappresentati da Giannelli in una vignetta del Corriere della Sera del 18 novembre 2020.
Da tutti parole di elogio per medici e infermieri, trattati come nuovi eroi moderni, accompagnati per contro, anche da critiche alla classe dirigente (politica e non) che raramente si è dimostrata all’altezza della gravità della situazione.
Anche Alghero ha avuto il suo eroe (una vera star planetaria se i mezzi di comunicazione di allora fossero stati quelli di oggi): un grande medico che la nostra città ha avuto modo di conoscere e utilizzare nel corso di un tragico momento della sua storia.
Si tratta di Quinto Tiberio Angelerio.
Per conoscerlo meglio dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. Esattamente nel 1582 quando l’intera Europa fu devastata dalla peste.
Nato a Belloforte (Regno di Napoli) nel 1532, Angelerio studia Fisiologia e Medicina a Napoli e Padova. Contrae matrimonio in Francica (Reggio Calabria) dove opera per 10 anni. Lascia la regione calabra, pare per problemi con la famiglia della moglie, e inizia un girovagare, esercitando sempre la professione di medico, che lo porteranno a Venezia, Pavia e Nizza.
Nel 1575 lo troviamo a Messina dove ha la possibilità di far conoscenza con gli effetti terribili dell’epidemia di peste che stava devastando le coste del Mediterraneo.
Nel 1582 la municipalità algherese lo assume, con un contratto biennale, per la bella cifra di 100 scudi l’anno.
Erano, dal punto di vista economico, tempi molto buoni per Alghero, grazie ai crescenti traffici mercantili che favorivano le casse dell’erario.
Soldi ben spesi, perché non passò molto tempo perché Angelerio dimostrasse il suo grande valore professionale.
Il 19 novembre del 1582 venne chiamato al capezzale di una donna che manifestò subito i sintomi che lui aveva avuto modo di conoscere durante la sua permanenza a Messina nel 1578.
La peste era arrivata anche ad Alghero.
Immediatamente informò le autorità cittadine e il vicerè affinché venissero prese tutte quelle iniziative utili a prevenire l’espansione della malattia.
Subito dopo il primo caso se ne verificarono molti altri sino a raggiungere nel 1583 (fine dell’epidemia) la catastrofica cifra di qualche migliaio di morti.
Non esistono certezze sul numero anche se è ragionevole pensare che almeno la metà della popolazione perse la vita.
Fortuna vuole che Angelerio, abbia raccontato questa tragica esperienza nella – Ectypa Pestilentis Status Algheriae – , una pubblicazione del 1588, di cui esiste una unica copia custodita nella Biblioteca Nazionale di Francia. Un resoconto medico-scientifico che lo ha giustamente reso celebre come grande medico e scienziato
Una vera fortuna, si diceva, perché oltre a documentare storicamente la tragedia vissuta più di 4 secoli fa dalla nostra città, ha curiosamente evidenziato, nella gestione della pandemia, una serie di procedure straordinariamente simili a quelle utilizzate oggi nel combattere il Covid 19.
Si iniziò con l’isolamento della città e a predisporre attorno ad essa tre cordoni sanitari che non consentivano entrate e soprattutto uscite di persone. Particolare interessante: il presidio era controllato da guardie armate. (Oggi la si classificherebbe zona rossa o con un colore ancora più deciso).
L’antico ospedale di via Cavour, oggi occupata dalla Società di Mutuo Soccorso
All’interno della città, la strada (il carrer de Sant’Antoni), oggi via Cavour, dove era ubicato l’ospedale che ospitava i malati di peste, fu eretto un muro che impediva agli abitanti di quell’area di spostarsi in altre zone (poche idee ma chiare, il contrario di quello che spesso viene lamentato oggi). Manco a dirlo anche l’ospedale fu presidiato da guardie armate.
Angelerio suggerì anche alle autorità locali il reperimento di due case abbastanza grandi e in posti isolati, per dividere gli appestati dai convalescenti (l’ Hotel Covid dei giorni nostri).
Per la prima volta nella storia della medicina, l’infaticabile Angelerio ideò la stufaa secco, utilizzando le alte temperature di un tipo di forno utilizzato nella produzione di laterizi, per sterilizzare gli indumenti e gli utensili di uso domestico (medico e geniaccio).
Altra disposizione resa obbligatoria in città: il divieto di aggirarsi per le strade, e solo una persona per famiglia, senza essere munita di una sorta di salvacondotto per recarsi a fare acquisti e comunque con l’obbligo di portare con se una canna lunga 6 palmi (circa 1,5 m.) per tenere a debita distanza qualunque altra persona.
In aggiunta al divieto di organizzare balli, feste e processioni. Unica, forte raccomandazione, non potendo vietare la frequentazione delle chiese, prestare la massima attenzione durante la messa.
Queste e molte altre le disposizioni suggerite alle autorità da Quinto Tiberio Angelerio che lettori interessati potranno trovare nel libro, edito nel 1989, dello storico algherese Tonino Budruni, Breve Storia di Alghero.
Provvedimenti, presi oltre 400 anni fa, che è difficile distinguere da quelli presi oggi. Una coincidenza straordinaria, così come straordinaria appare la figura di un personaggio che ha unito il dovere civico di medico con quella non meno importante della competenza.
A questo punto si potrebbe supporre che Quinto Tiberio Angelerio godesse di una popolarità e consenso straordinario nella comunità algherese e zone limitrofe. Supposizione certamente vera se riferita alle fasce popolari e a tutti quelli che il doctor aveva curato e salvato. Meno entusiaste furono però le prime reazioni dei commercianti e imprenditori che capirono subito che l’arrivo della peste e il conseguente isolamento della città avrebbe bloccato chissà per quanto tempo i loro affari.
L’Angelerio fu da questi subito diffamato e oggetto di derisione e, giusto perché capisse il clima, destinatario di un tentativo di assassinio.
Fortunatamente non si arrivò a tanto.
Oggi, con il Covid 19 imperante, assistiamo alle molte e giuste lamentele di operatori economici, di donne e uomini che hanno perso il lavoro e di quanti hanno subito danni di vario tipo.
Una vita precaria per molti, lenita da provvedimenti che, se fosse stato possibile prendere allora, al buon Angelerio avrebbero reso la vita più tranquilla. Si tratta dei bonus e ristori vari erogati dal governo che certamente avrebbero avuto il consenso di quanti avevano tentato di sopprimerlo.
Maturato il biennio previsto nel contratto di assunzione, coinciso con la fine della peste, Q.T. Angelerio lascia Alghero per recarsi a Madrid dove esercitò la sua professione a contatto dei rinomati medici della Corte di Filippo II (1527-1598) e sua sorella, l’imperatrice d’Austria Maria (1528-1603).
Stimato e ossequiato, l’Angelerio continuò il proprio lavoro anche con il successore Filippo III.
Aveva più di 70 anni quando tornò a Napoli, la mai dimenticata sua terra, dove continuò ad esercitare la sua amata professione.
Morì nel 1617 alla bella età di 85 anni.
Alghero lo ricorda dedicandogli una via, purtroppo periferica e, a dirla tutta, non proprio di prestigio.
Non paragonabile minimamente a quanto dato durante la sua permanenza ad Alghero e all’insegnamento contenuto nella sua opera Ectypa Pestilentis Status Algheriae.
Un autentico riassunto di umanità e scienza, oggi presente nei tanti medici, infermieri e volontari che combattono contro un morbo pericoloso e subdolo.
Sono passati più di 400 anni, Alghero ha visto il passaggio di altre epidemie: La peste del 1652-1653, il colera del 1855, la Spagnola del 1918-1920 per arrivare al Covid 19 dei nostri giorni. Un evento nefasto che si è riproposto periodicamente e che non è da escludere che si possa ripresentare in futuro.
Chiudiamo comunque con un cenno d’ottimismo: Quinto Tiberio Angelerio, il nostro eroe, ha indicato la strada per combatterlo, le nuove tecnologie faranno il resto.
FONTI:
- Tonino Budruni: Breve Storia di Alghero dal 1478 al 1720.
- Associazione Tholos: Ospedali di Alghero dal XVI al XX secolo
- Giovanna Tilocca: Alghero,dal colera al Covid 19 (Storiedialghero.it)
Se c’è una cosa difficile da definire, in italiano come in qualsiasi altra lingua, questa cosa è il tempo. Parliamo del tempo “cronologico” ovviamente, non del tempo atmosferico o di altri significati legati a questa parola. Il “tempo” fugge e ci sfugge. E’ una freccia unidirezionale che condiziona l’intero universo ed accompagna, senza mai distrarsi, la nostra vita dal punto A (nascita) al punto B (morte). L’unico uomo che ci ha capito qualcosa è stato Albert Einstein, che genialmente ha definito il tempo una dimensione strettamente legata alle altre dimensioni spaziali. Ad esempio, il nostro armadio di casa ha tre dimensioni spaziali (altezza, larghezza, profondità) facilmente misurabili, ma ne ha anche un’altra strettamente legata alle prime tre, la dimensione temporale, assai più difficile da definire e misurare.
Comunque, il non essere riusciti a comprendere appieno l’essenza del tempo, non ha impedito a noi umani, di suddividerlo in anni, mesi, giorni, ore,…seguendo logiche astronomiche legate soprattutto ai movimenti di rivoluzione e di rotazione della terra.
Gli antichi popoli mesopotamici, ma anche i Cinesi, gli Egizi o i Maja, avevano grandi conoscenze astronomiche, pur senza disporre di telescopi. In particolare gli Egizi avevano la necessità di impostare un preciso calendario a cui riferirsi per le stagionali attività agricole, subordinate alle piene del Nilo. Furono loro che suddivisero la giornata lavorativa (dall’alba al tramonto) in 12 frazioni di tempo. Dividendo allo stesso modo anche la durata della notte, si giunse alla suddivisione di un intero giorno in 24 ore. Divisione utilizzata ancora oggi. Per stabilire le ore del giorno si usavano meridiane solari, e per gli intervalli di tempo, orologi ad acqua o clessidre con sabbia. Le conoscenze astronomiche degli Egizi avevano molte implicazioni architettoniche, e sono evidenti in tanti loro monumenti, come ad esempio nel perfetto allineamento, rispetto ai quattro punti cardinali, delle basi delle piramidi.
Nel IV secolo a.C., sempre in Egitto, presso la grande scuola di Alessandria, fulcro del sapere dell’intero mondo di allora, vengono misurate con esattezza le reali dimensioni della Terra, ovviamente già considerata sferica. Ci riesce un grande genio dell’antichità, Eratostene di Cirene. Usando la misura dell’angolo verticale di un’ombra ad Alessandria, nel mezzogiorno del solstizio, e conoscendo la distanza in stadi tra Alessandria ed Assuan, con un efficace ragionamento, Eratostene riesce a calcolare la circonferenza della terra con stupefacente precisione.
Più tardi è Giulio Cesare ad impostare il calendario che, con alcune correzioni apportate durante il pontificato di Gregorio XIII nel 1582, è in vigore ancora oggi in gran parte del pianeta.
Ma già in pieno Medioevo erano di uso comune gli orologi solari (meridiane) murate sulle pareti esposte a sud delle chiese o dei palazzi nobiliari. E proprio dall’esposizione verso il sole, nel punto più alto del suo passaggio giornaliero, le meridiane prendono il loro nome. Sono cioè orientate verso il meridiano locale.
Clessidra e meridiana
In alcuni casi gli orologi solari visualizzano il movimento del sole durante l’intero anno (analemma), come nel caso della bellissima linea meridiana posta sul pavimento di San Petronio, a Bologna (costruita dal frate Egnazio Danti, proprio al tempo di Gregorio XIII, e perfezionata in seguito dal grande astronomo G.D. Cassini). Ad Alghero, in piazza Civica, sulla facciata del Palazzo Lavagna, al primo piano ed orientata a sud, è presente una bella meridiana quadrata, in ardesia grigio chiaro, con inciso al di sopra: anno 1866 – coelestium index. La meridiana è purtroppo svilita da cavi elettrici che gli passano proprio davanti (una totale mancanza di sensibilità che spesso è la regola in molti monumenti del centro storico algherese).
La meridiana di Piazza Civica
Un interessante riferimento alle direzioni cardinali lo troviamo, ad Alghero, nella torre “dei cani” o di San Giacomo. La torre, molto antica (forse già di primo impianto genovese), è costruita direttamente sulla scogliera, ha pianta ottagonale, e i muri sono allineati con le direzioni degli otto venti principali (da nord: tramontana, grecale, levante, scirocco, ostro, libeccio, ponente e maestrale). E’ l’unica torre algherese non a pianta circolare, e Michelino Chessa riferisce (racconti algheresi, volume 1) che in passato veniva usata come faro. Vi si accendeva al di sopra un fuoco per aiutare l’avvicinamento delle imbarcazioni.
La Torre di San GIacomo
Nelle città marinare si costruiva spesso una torre dei venti. La più antica e famosa è quella di Atene (gli antichi venti dei Greci erano, da nord: borèa o aquilone, euro, noto e zèfiro). Anche a Porto Torres, la torre aragonese del porto ha pianta ottagonale.
Dal XIV secolo in poi, le città europee iniziarono ad abbellirsi anche con i grandi orologi da torre. Venivano posti, proprio come le meridiane solari, in alto sui campanili delle chiese o sulle torri civiche. Spesso erano costruiti e mantenuti efficienti da frati. Collegati con le campane, questi grandi orologi iniziarono a scandire le ore della preghiera e del lavoro. Avere un grande orologio posto in un punto ben visibile al centro del paese, era simbolo e prestigio per il paese stesso.
Il Canonico algherese Michele Urgias riferisce che, nel novembre del 1747, due frati costruirono e montarono l’orologio grande del campanile di Santa Maria. Il principio costruttivo degli orologi da torre non era molto diverso dagli orologi a ingranaggi che venivano costruiti per i pochi che avevano i soldi per acquistarne uno. Ma, invece di cariche a molla, il motore del meccanismo era costituito da pesanti contrappesi che, scendendo con un cavo giù dalla torre, azionavano gli ingranaggi. Un’altro congegno (scappamento) aveva il compito di regolare e alternare il movimento. Restava soltanto da ricaricare regolarmente i contrappesi (riportandoli in alto), e oliare periodicamente gli ingranaggi. Aggiungo, per curiosità, che il sistema dei pesi era semplice e affidabile. Anche il meccanismo che faceva ruotare la lanterna dei fari costieri, quello di Capo Caccia compreso, era un sistema con contrappesi. Per questo motivo, anche i fari erano costruiti alti come le torri.
Il campanile di Alghero
Arriviamo così nell’Ottocento. Nel 1858 il consiglio comunale algherese (con il sindaco Giambattista Garibaldi in testa) mise in bilancio 800 lire per l’acquisto di un moderno orologio per il campanile della cattedrale. Con un tempismo ed un’efficienza non troppo diversi dalle amministrazioni più recenti, ci volle però più di un quarto di secolo per riuscire finalmente a piazzare il nuovo orologio in cima al campanile. Infatti, solo nel 1885, la ditta prescelta, Pietro Granaglia e C. di Torino, invia ad Alghero un suo operaio per montare finalmente l’orologio. La premiata Ditta Granaglia, oriuolai specializzati, ha ottime referenze e serve molti enti pubblici e ricchi privati in tutt’Italia. In Sardegna, a cavallo tra 800 e 900, numerosi paesi compreranno orologi da questa ditta per abbellire municipi, stazioni o campanili: Aidomaggiore, Meana Sardo, Iglesias (3 orologi), Nule, Sorso,… In alcuni casi queste belle macchine per misurare il tempo si trovano ancora in buono stato di conservazione, come l’orologio della torre del municipio di Villanova Monteleone, sormontata dalle campane. A Sassari la Ditta Granaglia ne fornirà due, sul Municipio e sul palazzo della Prefettura in Piazza d’Italia. Quest’ultimo orologio, un gioiello delle tecniche di allora, è ancora ben funzionante dal lontano 1880, anno in cui entrò in funzione. A differenza dei due orologi algheresi (come vedremo più avanti), questo gioiello tecnologico ancora oggi viene amorevolmente ricaricato e lubrificato, segnando il tempo con stupefacente precisione.
Il meccanismo dell’orologio del palazzo Prefettura Sassari (foto da web)La premiata Ditta Pietro Granaglia – Torino
Ma torniamo al campanile di Alghero. Il nuovo orologio viene montato nel 1885 e inizia a segnare le ore, regolato nei primi anni con la meridiana di Piazza Civica, e poi (via telegrafo) con il tempo ufficiale d’Italia del meridiano di Monte Mario.
Ma i suoi delicati meccanismi, posizionati all’interno della piramide sommitale della torre campanaria, non verranno protetti in alcun modo, e dopo un quarto di secolo gli ingranaggi sono così deteriorati dalla salsedine e dagli escrementi dei piccioni, che si deciderà l’acquisto di un nuovo orologio con un quadrante più grande (1,8 m). Nel 1912 il consiglio comunale (sindaco Battista Sartore), delibera lo stanziamento di 2000 lire per il nuovo orologio. Nel 1913, si ripete l’iter precedente. Arriva ad Alghero il tecnico della Ditta Granaglia e monta l’attuale quadrante in ghisa di 1,8 m di diametro e il nuovo orologio, più moderno. E’ un insieme di meccanismi in grado di muovere le sfere (lancette) e di far suonare le diverse campane durante i quarti, la mezz’ora e l’ora. I grossi pesi di granito sono fissati a cavi lunghi oltre venti metri, e consentono all’orologio di essere ricaricato solo una volta a settimana. Il vecchio meccanismo (quello del 1885) verrà smontato e riparato (al costo 500 lire), per poi sparire nel nulla, e nessuno è in grado, oggi, di dire dove sia finito.
Però anche gli ingranaggi del nuovo orologio non verranno purtroppo dotati di un armadio di protezione, anche se il Comune pagherà, negli anni, diversi manutentori per garantire un minimo di lubrificazione. Comunque sia, per mezzo secolo, questo bell’orologio da torre, segnerà il tempo della vita algherese. Il tempo del lavoro, del riposo e della preghiera domenicale.
Ma il tempo scorre e cambia. Nei primi anni ’60 si decide di sostituire il meccanismo meccanico con un orologio elettrico. I contrappesi vanno in pensione e gli ingranaggi costruiti dalla Ditta Granaglia vengono scollegati e lasciati tristemente in loco ad arrugginire. Dopo sessant’anni sono ancora li. E i contrappesi, staccati dai cavi, sono ancora oggi sul pavimento di Santa Maria, dietro al presbiterio.
Orologio del 1913, stato attuale. Foto Gianni SaiuContrappesi all’interno della Cattedrale di Santa Maria
Forse per una vendetta del passato sul presente, il nuovo meccanismo durò poco, fermandosi del tutto negli anni ’80. E solo dopo altri 30 anni, nel 2012, e dopo accurati restauri, l’orologio del campanile ha ripreso a funzionare.
Oltre un secolo è passato da quando, nel 1913, venne montato il “nuovo” orologio. Quei meccanismi, lasciati alle intemperie in cima al campanile, sono oggi un pezzo di storia della città. E’ pertanto auspicabile e doveroso provvedere ad un poco oneroso intervento di recupero. Ovvero, smontare gli ingranaggi, portarli in una officina e, dopo una semplice, ma accurata pulitura, esporli al pubblico con le relative note didascaliche.
L’Associazione Storie di Alghero, nel pubblicare questo breve articolo, auspica perciò l’intervento dell’amministrazione comunale per avviare il recupero dell’antico orologio della torre campanaria di Santa Maria, e per esporlo in un idoneo spazio pubblico cittadino.
Giuseppe Alberto Larco
Un nostro concittadino dell’Ottocento
di Giovanna Tilocca
Giuseppe Alberto Larco è nato ad Alghero il 10 settembre 1830. Suo padre Gerolamo era arrivato in città intorno al 1828 partendo da Santa Margherita Ligure e il 17 ottobre 1829 aveva sposato Margherita Bruno, figlia di Gerolamo, anche lui proveniente da Santa Margherita Ligure. Giuseppe Alberto è il primogenito di nove figli, sette maschi e due femmine, dei quali tre sono morti nell’infanzia (due maschi e una femmina). Continua la lettura di Giuseppe Alberto Larco→
L’attualità di un’emergenza improvvisa quanto imprevista ci ha messo di fronte a eventi che credevamo appartenere soltanto a un lontanissimo passato, dei quali peraltro si è raccontato sempre molto poco.
Cambiano i tempi, ma lo scenario è sempre lo stesso. Continua la lettura di Alghero dal colera al covid-19→
La Nurra. Il territorio dell’estremo nord-ovest della Sardegna, ed è anche l’estremità più occidentale dell’Italia centro-meridionale. Un migliaio di kmq che si protendono verso il mare, a ovest, a forma di quadrilatero irregolare. Pianeggianti nel tratto orientale, da Porto Torres ad Alghero, e via via sempre più accidentati fino ad incontrare il mare. Continua la lettura di La conquista del west→
Comincerò col dire che la città di Alghero molto spesso è stata e continua ad essere una madre ingrata nei confronti dei suoi figli, compresi quelli illustri.
Questo aspetto caratteriale, che talvolta rasenta l’indolenza, emerge nei confronti proprio di personalità insigni che spesso vengono celebrate fuori dalla nostra città ed ignorate o quasi da noi algheresi.Continua la lettura di Angelo Roth, Algherese illustre→
La Maddalenetta è poco più che uno scoglio affiorante nella rada di Alghero a poca distanza dalla spiaggia di Maria Pia. Eppure la sua vita è stata piuttosto movimentata, a partire da quando vi è stata costruita una chiesetta intitolata a Maria Maddalena, sede di canonicato fin dal 1526[1]. Continua la lettura di La Maddalenetta→
La leggendaria Brigata “Sassari” Nella Prima Guerra Mondiale
di Nino Monti e Carmelo Murgia
La Prima Guerra Mondiale costò alla Sardegna un tributo di sangue superiore a qualsiasi altra regione italiana.
In quegli anni l’isola contava poco più di 800.000 abitanti, circa 100.000 uomini (quasi tutta la popolazione maschile adulta) partirono per la guerra e 13.602 (fonte Comando Brigata Sassari) perirono in battaglia.
Molti di questi erano “Sassarini”, provenienti da tutte le parti dell’isola. Continua la lettura di La leggendaria brigata Sassari→
Il 4 novembre si commemora il centenario della fine della prima guerra mondiale.
La Grande guerra, come è stata chiamata, coinvolse 25 paesi (alcuni marginalmente) tra cui l’Italia e provocò circa 10 milioni di morti e 20 milioni di feriti cui si aggiungono i 6 milioni di morti tra i civili. Continua la lettura di I caduti algheresi della prima guerra mondiale→