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Mirau que sem anant i mirant

Claudio Gabriel Sanna i Rall Grup

MIRAU QUE SEM ANANT I MIRANT
Cançons de festa, sàtira i taverna de l’Alguer

Pubblichiamo questo album per far conoscere ad un pubblico più vasto il repertorio di brani che venivano cantati nelle vecchie osterie di Alghero e che ancora oggi vengono cantati a casa, in occasione delle feste di famiglia e tra amici. Continua la lettura di Mirau que sem anant i mirant

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ALGHERO, ANNO 1582: Q. T. ANGELERIO, IL NOSTRO MEDICO EROE.

di Nino Monti

Il 2020 passerà alla storia come l’anno del Covid 19, la micidiale pandemia che ha contagiato e ucciso milioni di persone e devastato l’economia mondiale.

Comparso in Cina nella seconda metà del 2019, si è diffuso rapidamente in tutto il mondo grazie alle centinaia di migliaia di persone che ogni giorno, per ragioni di lavoro o turismo, si muovono in tutti gli angoli del pianeta.

Contrariamente a quanto successo nel 1918-1920 con la Spagnola, pandemia che causò la morte a quasi 50 milioni di persone, non ci sono stati, da parte dei governi, tentativi di minimizzare o nascondere la gravità del problema, fatta eccezione   per il governo cinese che ha certamente comunicato in ritardo la comparsa di questo agente patogeno. Un atteggiamento forse dovuto al ritardo nella individuazione e valutazione del suo potenziale distruttivo. Un argomento, questo, che ha dato origine a sospetti e polemiche infinite, in particolare col governo americano.

Com’è ovvio l’argomento è seguitissimo. Trasmissioni TV e giornali seguono quasi con ossessione l’evolversi della situazione attraverso in particolare con personaggi sconosciuti al grande pubblico che in brevissimo tempo sono diventati popolarissimi.

Ci riferiamo a figure professionali come virologi, epidemiologi, immunologi, scienziati ed esperti delle problematiche legate a questa pandemia.

In molti casi accompagnati da altri esperti in scienze statistiche che completavano informazioni di tipo medico-scientifico con numeri e grafici molto sofisticati.

Personaggi, come si diceva, popolarissimi: chi non conosce i nomi di Burioni, Zangrillo, Capua, Galli, Bassetti, Pregliasco e molti altri ancora. Per non parlare di alcune vere e proprie superstar internazionali come Antony Fauci, direttore del prestigioso National Institute of Allergy and Infectious Diseases americano che si è permesso di smentire e contestare commenti sulla pandemia del presidente Trump ritenuti non corretti.

Personaggi sempre presenti, di giorno e di notte, come magnificamente rappresentati da Giannelli in una vignetta del Corriere della Sera del 18 novembre 2020.

Da tutti parole di elogio per medici e infermieri, trattati come nuovi eroi moderni, accompagnati per contro, anche da critiche alla classe dirigente (politica e non) che raramente si è dimostrata all’altezza della gravità della situazione.

Anche Alghero ha avuto il suo eroe (una vera star planetaria se i mezzi di comunicazione di allora fossero stati quelli di oggi): un grande medico che la nostra città ha avuto modo di conoscere e utilizzare nel corso di un tragico momento della sua storia.

Si tratta di Quinto Tiberio Angelerio.

Per conoscerlo meglio dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. Esattamente nel 1582 quando l’intera Europa fu devastata dalla peste.

 Nato a Belloforte (Regno di Napoli) nel 1532, Angelerio studia Fisiologia e Medicina a Napoli e Padova. Contrae matrimonio in Francica (Reggio Calabria) dove opera per 10 anni. Lascia la regione calabra, pare per problemi con la famiglia della moglie, e inizia un girovagare, esercitando sempre la professione di medico, che lo porteranno a Venezia, Pavia e Nizza.

Nel 1575 lo troviamo a Messina dove ha la possibilità di far conoscenza con gli effetti terribili dell’epidemia di peste che stava devastando le coste del Mediterraneo.

Nel 1582 la municipalità algherese lo assume, con un contratto biennale, per la bella cifra di 100 scudi l’anno.

 Erano, dal punto di vista economico, tempi molto buoni per Alghero, grazie ai crescenti traffici mercantili che favorivano le casse dell’erario.

Soldi ben spesi, perché non passò molto tempo perché Angelerio dimostrasse il suo grande valore professionale.

Il 19 novembre del 1582 venne chiamato al capezzale di una donna che manifestò subito i sintomi che lui aveva avuto modo di conoscere durante la sua permanenza a Messina nel 1578.

 La peste era arrivata anche ad Alghero.

Immediatamente informò le autorità cittadine e il vicerè affinché venissero prese tutte quelle iniziative utili a prevenire l’espansione della malattia.

Subito dopo il primo caso se ne verificarono molti altri sino a raggiungere nel 1583 (fine dell’epidemia) la catastrofica cifra di qualche migliaio di morti.

Non esistono certezze sul numero anche se è ragionevole pensare che almeno la metà della popolazione perse la vita.

Fortuna vuole che Angelerio, abbia raccontato questa tragica esperienza nella – Ectypa Pestilentis Status Algheriae – , una pubblicazione del 1588, di cui esiste una unica copia custodita nella Biblioteca Nazionale di Francia. Un resoconto medico-scientifico che lo ha giustamente reso celebre come grande medico e scienziato

Una vera fortuna, si diceva, perché oltre a documentare storicamente la tragedia vissuta più di 4 secoli fa dalla nostra città, ha curiosamente evidenziato, nella gestione della pandemia, una serie di procedure straordinariamente simili a quelle utilizzate oggi nel combattere il Covid 19.

Si iniziò con l’isolamento della città e a predisporre attorno ad essa tre cordoni sanitari che non consentivano entrate e soprattutto uscite di persone. Particolare interessante: il presidio era controllato da guardie armate. (Oggi la si classificherebbe zona rossa o con un colore ancora più deciso).

L’antico ospedale di via Cavour, oggi occupata dalla Società di Mutuo Soccorso

All’interno della città, la strada (il carrer de Sant’Antoni), oggi via Cavour, dove era ubicato l’ospedale che ospitava i malati di peste, fu eretto un muro che impediva agli abitanti di quell’area di spostarsi in altre zone (poche idee ma chiare, il contrario di quello che spesso viene lamentato oggi). Manco a dirlo anche l’ospedale fu presidiato da guardie armate.

Angelerio suggerì anche alle autorità locali il reperimento di due case abbastanza grandi e in posti isolati, per dividere gli appestati dai convalescenti (l’ Hotel Covid dei giorni nostri).

Per la prima volta nella storia della medicina, l’infaticabile Angelerio ideò la stufa a secco, utilizzando le alte temperature di un tipo  di forno utilizzato nella produzione di laterizi, per sterilizzare gli indumenti e gli utensili  di uso domestico (medico e geniaccio).

Altra disposizione resa obbligatoria in città: il divieto di aggirarsi per le strade, e solo una persona per famiglia, senza essere munita di una sorta di salvacondotto per recarsi a fare acquisti e comunque con l’obbligo di portare con se una canna lunga 6 palmi (circa 1,5 m.) per tenere a debita distanza qualunque altra persona.

In aggiunta al divieto di organizzare balli, feste e processioni. Unica, forte raccomandazione, non potendo vietare la frequentazione delle chiese, prestare la massima attenzione durante la messa.

Queste e molte altre le disposizioni suggerite alle autorità da Quinto Tiberio Angelerio che lettori interessati potranno trovare nel libro, edito nel 1989, dello storico algherese Tonino Budruni, Breve Storia di Alghero.

Provvedimenti, presi oltre 400 anni fa, che è difficile distinguere da quelli presi oggi. Una coincidenza straordinaria, così come straordinaria appare la figura di un personaggio che  ha unito il dovere civico di medico con quella non meno importante della competenza.

A questo punto si potrebbe supporre che Quinto Tiberio Angelerio godesse di una popolarità e consenso straordinario nella comunità algherese e zone limitrofe. Supposizione certamente vera se riferita alle fasce popolari e a tutti quelli che il doctor aveva curato e salvato. Meno entusiaste furono però le prime reazioni dei commercianti e imprenditori che capirono subito che l’arrivo della peste e il conseguente isolamento della città avrebbe bloccato chissà per quanto tempo i loro affari.

L’Angelerio fu da questi subito diffamato e oggetto di derisione e, giusto perché capisse il clima, destinatario di un tentativo di assassinio.

Fortunatamente non si arrivò a tanto.

Oggi, con il Covid 19 imperante, assistiamo alle molte e giuste lamentele di operatori economici, di donne e uomini che hanno perso il lavoro e di quanti hanno subito danni di vario tipo.

Una vita precaria per molti, lenita da provvedimenti che, se fosse stato possibile prendere allora, al buon Angelerio avrebbero reso la vita più tranquilla. Si tratta dei bonus e ristori vari erogati dal governo che certamente avrebbero avuto il consenso di quanti avevano tentato di sopprimerlo.

Maturato il biennio previsto nel contratto di assunzione, coinciso con la fine della peste, Q.T. Angelerio lascia Alghero per recarsi a Madrid dove esercitò la sua professione a contatto dei rinomati medici della Corte di Filippo II (1527-1598) e sua sorella, l’imperatrice d’Austria Maria (1528-1603).

Stimato e ossequiato, l’Angelerio continuò il proprio lavoro anche con il successore Filippo III.

Aveva più di 70 anni quando tornò a Napoli, la mai dimenticata sua terra, dove continuò ad esercitare la sua amata professione.

Morì nel 1617 alla bella età di 85 anni.

Alghero lo ricorda dedicandogli una via, purtroppo periferica e, a dirla tutta, non proprio di prestigio.

Non paragonabile minimamente a quanto dato durante la sua permanenza ad Alghero e all’insegnamento contenuto nella sua opera Ectypa Pestilentis Status Algheriae.

Un autentico riassunto di umanità e scienza, oggi presente nei tanti medici, infermieri e volontari che combattono contro un morbo pericoloso e subdolo.

Sono passati più di 400 anni, Alghero ha visto il passaggio di altre epidemie: La peste del 1652-1653, il colera del 1855, la Spagnola del 1918-1920 per arrivare al Covid 19 dei nostri giorni. Un evento nefasto che si è riproposto periodicamente e che non è da escludere che si possa ripresentare in futuro.

Chiudiamo comunque con un cenno d’ottimismo: Quinto Tiberio Angelerio, il nostro eroe, ha indicato la strada per combatterlo, le nuove tecnologie faranno il resto.

FONTI:
- Tonino Budruni: Breve Storia di Alghero dal 1478 al 1720.
-  Associazione Tholos: Ospedali di Alghero dal XVI al XX secolo
-  Giovanna Tilocca: Alghero, dal colera al Covid 19 (Storiedialghero.it)

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I predatori del riccio di mare

di Nino Monti

Raccontano i libri di storia che Attila, il famigerato re unno, sia passato a miglior vita nell’anno 453.

Di lui si raccontano devastazioni e terribili angherie nei confronti dei popoli sconfitti nelle continue guerre che hanno caratterizzato la sua esistenza. Una fama ben riassunta nella frase “ dove passa Attila non cresce più l’erba”, tragicamente rimasta viva nella storia dell’umanità. Continua la lettura di I predatori del riccio di mare

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La camera a gas

di Sardonicus

Le tradizioni algheresi per quanto concerne l’ospitalità non dovevano essere delle migliori, come ben sa Alberto La Marmora che descrive non senza tocchi umoristici un suo pernottamento ad Alghero senza un invito a cena nonostante lettere di presentazione. In realtà il parroco gli disse che era invitato dal governatore, ma quando vi si recò non fu messo alla porta solo perché non fu fatto entrare. Continua la lettura di La camera a gas

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Parlando di Spagnola in tempo di Covid

di Giovanna Tilocca

Mercoledì 23 settembre 2020 nella Sala delle Conferenze del Qualté di Alghero nell’ambito del Sant Miquel Festival si è tenuta la conferenza di Eugenia Tognotti, Professore Ordinario di Storia della Medicina e Scienze Umane dell’Università di Sassari, su un argomento di grande attualità: la pandemia di Spagnola del 1918 e quella di Covid. L’incontro, inizialmente previsto nel giardino della Villa Costantino, è stato spostato al Qualté a causa del tempo inclemente, che quest’anno purtroppo ha fatto annullare o rinviare le manifestazioni all’aperto del Sant Miquel Festival dedicato al patrono di Alghero che si festeggia il 29 settembre. Per il convegno la Fondazione Alghero ha concesso la Sala e il Comune di Alghero ha dato il suo patrocinio.

Prof. Eugenia Tognotti

L’evento è stato organizzato dall’Associazione Vetera et Nova che ha avuto l’indispensabile collaborazione dell’Associazione Tholos con il presidente Franco Sanna, di L’A Edicions de l’Alguer nella persona di Salvatore Izza, infaticabile organizzatore di numerose riunioni a carattere culturale e musicale dell’estate 2020, e del sito storiedialghero.it creato da Carmelo Murgia e Nino Monti che è stato l’ispiratore del tema in quanto si è occupato della Spagnola fin dalla ricorrenza del centenario della pandemia nell’autunno 2018.
In apertura il pianista M° Adriano Murgia ha eseguito un brano di Beethoven, quindi Salvatore Izza ha presentato la relatrice già nota al pubblico per le numerose pubblicazioni sulle epidemie che si sono succedute nel corso del tempo e in particolare per il volume La Spagnola in Italia. La presidente dell’Associazione Vetera et Nova, Giuliana Ceravola, ha rivolto brevi parole di saluto al pubblico, quindi l’attore Ignazio Chessa ha letto, accompagnato da un appropriato sottofondo musicale, alcune lettere che i testimoni delle stragi operate dalla Spagnola inviavano a familiari che erano emigrati in America. Siccome in quel periodo vi era la censura di guerra e non si potevano diffondere notizie così terribili, la corrispondenza è stata intercettata e conservata nel Reparto censura militare posta estera. Questo materiale si è rivelato un prezioso strumento d’indagine per la prof. Tognotti che ha potuto cogliere le parole di chi stava subendo incredibili e angoscianti situazioni che andavano a toccare nel profondo i sentimenti più radicati dell’animo umano come la pietas verso i defunti, e che a distanza di un secolo riescono ancora a farci provare forti emozioni.
Eugenia Tognotti ha esposto il risultato della sua ricerca condotta principalmente sugli articoli dei quotidiani, delle riviste mediche e su documenti ufficiali delle prefetture e del governo e ha messo in rilievo la scarsità di studi sull’argomento dovuti soprattutto all’oblio di coloro che hanno vissuto quella terribile esperienza.
Tale velo era stato steso da chi, appena uscito da quell’orrendo periodo di guerra e di malattia, desiderava soltanto dimenticare le sofferenze e i lutti subiti fino ai limiti estremi dell’umana sopportazione. Le immagini dei giovani malati che lottavano contro l’invisibile virus che in pochi giorni li portava via, l’agghiacciante ricordo del trasporto frettoloso delle salme che non avevano neppure avuto l’estremo saluto dei familiari, i sensi di colpa per aver assistito impotenti alle tragedie che si compivano inesorabili al loro cospetto, erano troppo difficili da rievocare per i superstiti.
La prof. Tognotti ha dunque dovuto cercare le testimonianze nei trafiletti dei giornali, nei necrologi che diventavano sempre più numerosi di giorno in giorno, nei provvedimenti imposti da sindaci, prefetti e ministri. A scorrerli, ci si accorge che è proprio vero che la storia si ripete. Infatti le raccomandazioni più frequenti riguardavano l’igiene personale, soprattutto delle mani, il distanziamento sociale, la scrupolosa pulizia degli ambienti pubblici. Naturalmente le scuole furono aperte soltanto dopo aver acquisito la certezza che la malattia andava ad esaurirsi e ciò accadde a fine novembre.


Il bilancio della pandemia fu veramente pesante e in Sardegna eguagliò quello della guerra che in quei giorni ebbe il suo epilogo forse anche a causa dell’influenza, dato che la Spagnola aveva colpito gravemente gli eserciti.
Voglio qui rimarcare che la serata, nonostante le avversità meteorologiche e le regole imposte dalla pandemia di Covid che non hanno consentito la partecipazione di tutti coloro che avevano inviato la richiesta, ha avuto un pubblico attento e interessato alla relazione presentata dalla prof. Tognotti con un linguaggio competente e chiaro, corredata da numerose diapositive, e che ha mostrato di apprezzare gli interventi musicali del valente pianista Adriano Murgia e la lettura molto coinvolgente di Ignazio Chessa.

L’incontro è stato filmato e a breve sarà inserito tra le proposte del sito storiedialghero.it.

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L’ultima sera con Elvira

L’ultima sera con Elvira©

Capitolo 3

di Valeria Solinas

Bambini e animali dispongono di un minimo comune multiplo. Possiedono entrambi la magia dell’istinto. Sono senza filtri, non conoscono le mezze misure, amano o odiano incondizionatamente, con tutte le proprie forze. Quando un bambino ti abbraccia, un cane ti lecca o, in preda alla paura, ti morde il polpaccio, lo fa con tutta l’energia che ha in corpo. Continua la lettura di L’ultima sera con Elvira

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Vittorio Sella, Imprenditore e signore d’altri tempi.

di Nino Monti

Ho conosciuto Vittorio Sella,  allora presidente della Sella & Mosca, nel corso del colloquio di lavoro che si concluse con la mia assunzione nella società.

Un’assunzione ambita ed un incontro  che, a distanza di oltre 50 anni,  ricordo ancora con emozione   e gratitudine. Un sentimento che ho avuto modo di manifestargli recentemente quando, con Mario Consorte, lo abbiamo incontrato per consegnargli la prima copia del libro In Vino Veritas. Un libro che racconta la storia  dei 120 anni di attività della Sella & Mosca, della quale Vittorio Sella aveva avuto di trattare i momenti della nascita, in una bella pubblicazione ricca anche di molti aneddoti familiari (Vite di Vino). Continua la lettura di Vittorio Sella, Imprenditore e signore d’altri tempi.

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Angeli di pietra

Fotografie di Carmelo Murgia e Roberto Barbieri


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Novembre 1942: tragedia nel mare di Alghero

di Antonello Bilardi e Nino Monti

Fin da tempo immemorabile i pescatori algheresi, allora molto numerosi, esercitavano la pesca con imbarcazioni di piccola stazza: normalmente  gozzi e  spagnolette  armate a vela latina che richiedevano una particolare abilità nelle manovre e un grande affiatamento da parte dell’equipaggio. Continua la lettura di Novembre 1942: tragedia nel mare di Alghero

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Angeli di Pietra

di Roberto Barbieri

E’ probabile che, sul nostro pianeta, ogni specie vivente abbia in qualche modo coscienza della morte. Della propria morte e forse anche di quella dei suoi simili. La morte dell’individuo, pur biologicamente necessaria e logica, racchiude in se qualcosa di innaturale, qualcosa che sembra in contrasto con le strategie di sopravvivenza e di difesa che regolano le azioni di un qualsiasi organismo vivente. Continua la lettura di Angeli di Pietra

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La riva muta

La riva muta©

Capitolo 2

di Valeria Solinas

Dalla veranda guardo il mare. È necessario, come linfa che progredisce nelle viscere e mi emoziona. Mi scosto dagli occhi i capelli lievemente arruffati, il maestrale li confonde. Sono tutti bianchi, qualche ciocca grigiastra è rimasta per intenerire la ricrescita generosa. Le mie mani sono appassite, osservo la proliferazione di lentigo sul dorso, a pochi centimetri dai polsi, che sono diventate più numerose negli ultimi mesi. Le macchie sulle mani improvvisamente mi fanno scoprire vecchia pur non sentendomi tale. Continua la lettura di La riva muta

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Una nuvola tinta di rosa

Una nuvola tinta di rosa©

di Alessandro Lo Curto

Ero finito ad Alghero per puro caso: l’aeroplano su cui viaggiavo era diretto a Olbia, dove mi stavo recando per un impegno di lavoro per conto di una società immobiliare svizzera. Là mi sarei dovuto incontrare con un rappresentante delle proprietà di un magnate arabo e lo scopo del mio viaggio era l’acquisto di una prestigiosa villa sulla costa smeralda. Continua la lettura di Una nuvola tinta di rosa

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L’orologio del campanile

di Roberto Barbieri

Se c’è una cosa difficile da definire, in italiano come in qualsiasi altra lingua, questa cosa è il tempo. Parliamo del tempo “cronologico” ovviamente, non del tempo atmosferico o di altri significati legati a questa parola. Il “tempo” fugge e ci sfugge. E’ una freccia unidirezionale che condiziona l’intero universo ed accompagna, senza mai distrarsi, la nostra vita dal punto A (nascita) al punto B (morte). L’unico uomo che ci ha capito qualcosa è stato Albert Einstein, che genialmente ha definito il tempo una dimensione strettamente legata alle altre dimensioni spaziali. Ad esempio, il nostro armadio di casa ha tre dimensioni spaziali (altezza, larghezza, profondità) facilmente misurabili, ma ne ha anche un’altra strettamente legata alle prime tre, la dimensione temporale, assai più difficile da definire e misurare.

Comunque, il non essere riusciti a comprendere appieno l’essenza del tempo, non ha impedito a noi umani, di suddividerlo in anni, mesi, giorni, ore,…seguendo logiche astronomiche legate soprattutto ai movimenti di rivoluzione e di rotazione della terra.

Gli antichi popoli mesopotamici, ma anche i Cinesi, gli Egizi o i Maja, avevano grandi conoscenze astronomiche, pur senza disporre di telescopi. In particolare gli Egizi avevano la necessità di impostare un preciso calendario a cui riferirsi per le stagionali attività agricole, subordinate alle piene del Nilo. Furono loro che suddivisero la giornata lavorativa (dall’alba al tramonto) in 12 frazioni di tempo. Dividendo allo stesso modo anche la durata della notte, si giunse alla suddivisione di un intero giorno in 24 ore. Divisione utilizzata ancora oggi. Per stabilire le ore del giorno si usavano meridiane solari, e per gli intervalli di tempo, orologi ad acqua o clessidre con sabbia. Le conoscenze astronomiche degli Egizi avevano molte implicazioni architettoniche, e sono evidenti in tanti loro monumenti, come ad esempio nel perfetto allineamento, rispetto ai quattro punti cardinali, delle basi delle piramidi.

Nel IV secolo a.C., sempre in Egitto, presso la grande scuola di Alessandria, fulcro del sapere dell’intero mondo di allora, vengono misurate con esattezza le reali dimensioni della Terra, ovviamente già considerata sferica. Ci riesce un grande genio dell’antichità, Eratostene di Cirene. Usando la misura dell’angolo verticale di un’ombra ad Alessandria, nel mezzogiorno del solstizio, e conoscendo la distanza in stadi tra Alessandria ed Assuan, con un efficace ragionamento, Eratostene riesce a calcolare la circonferenza della terra con stupefacente precisione.

Più tardi è Giulio Cesare ad impostare il calendario che, con alcune correzioni apportate durante il pontificato di Gregorio XIII nel 1582, è in vigore ancora oggi in gran parte del pianeta.

Ma già in pieno Medioevo erano di uso comune gli orologi solari (meridiane) murate sulle pareti esposte a sud delle chiese o dei palazzi nobiliari. E proprio dall’esposizione verso il sole, nel punto più alto del suo passaggio giornaliero, le meridiane prendono il loro nome. Sono cioè orientate verso il meridiano locale.

Clessidra e meridiana

In alcuni casi gli orologi solari visualizzano il movimento del sole durante l’intero anno (analemma), come nel caso della bellissima linea meridiana posta sul pavimento di San Petronio, a Bologna (costruita dal frate Egnazio Danti, proprio al tempo di Gregorio XIII, e perfezionata in seguito dal grande astronomo G.D. Cassini). Ad Alghero, in piazza Civica, sulla facciata del Palazzo Lavagna, al primo piano ed orientata a sud, è presente una bella meridiana quadrata, in ardesia grigio chiaro, con inciso al di sopra: anno 1866 – coelestium index. La meridiana è purtroppo svilita da cavi elettrici che gli passano proprio davanti (una totale mancanza di sensibilità che spesso è la regola in molti monumenti del centro storico algherese).

La meridiana di Piazza Civica

Un interessante riferimento alle direzioni cardinali lo troviamo, ad Alghero, nella torre “dei cani” o di San Giacomo. La torre, molto antica (forse già di primo impianto genovese), è costruita direttamente sulla scogliera, ha pianta ottagonale, e i muri sono allineati con le direzioni degli otto venti principali (da nord: tramontana, grecale, levante, scirocco, ostro, libeccio, ponente e maestrale). E’ l’unica torre algherese non a pianta circolare, e Michelino Chessa riferisce (racconti algheresi, volume 1) che in passato veniva usata come faro. Vi si accendeva al di sopra un fuoco per aiutare l’avvicinamento delle imbarcazioni.

La Torre di San GIacomo

Nelle città marinare si costruiva spesso una torre dei venti. La più antica e famosa è quella di Atene (gli antichi venti dei Greci erano, da nord: borèa o aquilone, euro, noto e zèfiro). Anche a Porto Torres, la torre aragonese del porto ha pianta ottagonale.

Dal XIV secolo in poi, le città europee iniziarono ad abbellirsi anche con i grandi orologi da torre. Venivano posti, proprio come le meridiane solari, in alto sui campanili delle chiese o sulle torri civiche. Spesso erano costruiti e mantenuti efficienti da frati. Collegati con le campane, questi grandi orologi iniziarono a scandire le ore della preghiera e del lavoro. Avere un grande orologio posto in un punto ben visibile al centro del paese, era simbolo e prestigio per il paese stesso.

Il Canonico algherese Michele Urgias riferisce che, nel novembre del 1747, due frati costruirono e montarono l’orologio grande del campanile di Santa Maria. Il principio costruttivo degli orologi da torre non era molto diverso dagli orologi a ingranaggi che venivano costruiti per i pochi che avevano i soldi per acquistarne uno. Ma, invece di cariche a molla, il motore del meccanismo era costituito da pesanti contrappesi che, scendendo con un cavo giù dalla torre, azionavano gli ingranaggi.  Un’altro congegno (scappamento) aveva il compito di regolare e alternare il movimento. Restava soltanto da ricaricare regolarmente i contrappesi (riportandoli in alto), e oliare periodicamente gli ingranaggi. Aggiungo, per curiosità, che il sistema dei pesi era semplice e affidabile. Anche il meccanismo che faceva ruotare la lanterna dei fari costieri, quello di Capo Caccia compreso, era un sistema con contrappesi. Per questo motivo, anche i fari erano costruiti alti come le torri.

Il campanile di Alghero

Arriviamo così nell’Ottocento. Nel 1858 il consiglio comunale algherese (con il sindaco Giambattista Garibaldi in testa) mise in bilancio 800 lire per l’acquisto di un moderno orologio per il campanile della cattedrale. Con un tempismo ed un’efficienza non troppo diversi dalle amministrazioni più recenti, ci volle però più di un quarto di secolo per riuscire finalmente a piazzare il nuovo orologio in cima al campanile. Infatti, solo nel 1885, la ditta prescelta, Pietro Granaglia e C. di Torino, invia ad Alghero un suo operaio per montare finalmente l’orologio. La premiata Ditta Granaglia, oriuolai specializzati, ha ottime referenze e serve molti enti pubblici e ricchi privati in tutt’Italia. In Sardegna, a cavallo tra 800 e 900, numerosi paesi compreranno orologi da questa ditta per abbellire municipi, stazioni o campanili: Aidomaggiore, Meana Sardo, Iglesias (3 orologi), Nule, Sorso,… In alcuni casi queste belle macchine per misurare il tempo si trovano ancora in buono stato di conservazione, come l’orologio della torre del municipio di Villanova Monteleone, sormontata dalle campane. A Sassari la Ditta Granaglia ne fornirà due, sul Municipio e sul palazzo della Prefettura in Piazza d’Italia. Quest’ultimo orologio, un gioiello delle tecniche di allora, è ancora ben funzionante dal lontano 1880, anno in cui entrò in funzione. A differenza dei due orologi algheresi (come vedremo più avanti), questo gioiello tecnologico ancora oggi viene amorevolmente ricaricato e lubrificato, segnando il tempo con stupefacente precisione.

Il meccanismo dell’orologio del palazzo Prefettura Sassari (foto da web)
La premiata Ditta Pietro Granaglia – Torino

Ma torniamo al campanile di Alghero. Il nuovo orologio viene montato nel 1885 e inizia a segnare le ore, regolato nei primi anni con la meridiana di Piazza Civica, e poi (via telegrafo) con il tempo ufficiale d’Italia del meridiano di Monte Mario.

Ma i suoi delicati meccanismi, posizionati all’interno della piramide sommitale della torre campanaria, non verranno protetti in alcun modo, e dopo un quarto di secolo gli ingranaggi sono così deteriorati dalla salsedine e dagli escrementi dei piccioni, che si deciderà l’acquisto di un nuovo orologio con un quadrante più grande (1,8 m). Nel 1912 il consiglio comunale (sindaco Battista Sartore), delibera lo stanziamento di 2000 lire per il nuovo orologio. Nel 1913, si ripete l’iter precedente. Arriva ad Alghero il tecnico della Ditta Granaglia e monta l’attuale quadrante in ghisa di 1,8 m di diametro e il nuovo orologio, più moderno. E’ un insieme di meccanismi in grado di muovere le sfere (lancette) e di far suonare le diverse campane durante i quarti, la mezz’ora e l’ora. I grossi pesi di granito sono fissati a cavi lunghi oltre venti metri, e consentono all’orologio di essere ricaricato solo una volta a settimana. Il vecchio meccanismo (quello del 1885) verrà smontato e riparato (al costo 500 lire), per poi sparire nel nulla, e nessuno è in grado, oggi, di dire dove sia finito.

Però anche gli ingranaggi del nuovo orologio non verranno purtroppo dotati di un armadio di protezione, anche se il Comune pagherà, negli anni, diversi manutentori per garantire un minimo di lubrificazione. Comunque sia, per mezzo secolo, questo bell’orologio da torre, segnerà il tempo della vita algherese. Il tempo del lavoro, del riposo e della preghiera domenicale.

Ma il tempo scorre e cambia. Nei primi anni ’60 si decide di sostituire il meccanismo meccanico con un orologio elettrico. I contrappesi vanno in pensione e gli ingranaggi costruiti dalla Ditta Granaglia vengono scollegati e lasciati tristemente in loco ad arrugginire. Dopo sessant’anni sono ancora li. E i contrappesi, staccati dai cavi, sono ancora oggi sul pavimento di Santa Maria, dietro al presbiterio.

Orologio del 1913, stato attuale. Foto Gianni Saiu
Contrappesi all’interno della Cattedrale di Santa Maria

Forse per una vendetta del passato sul presente, il nuovo meccanismo durò poco, fermandosi del tutto negli anni ’80. E solo dopo altri 30 anni, nel 2012, e dopo accurati restauri, l’orologio del campanile ha ripreso a funzionare.

Oltre un secolo è passato da quando, nel 1913, venne montato il “nuovo” orologio. Quei meccanismi, lasciati alle intemperie in cima al campanile, sono oggi un pezzo di storia della città. E’ pertanto  auspicabile e doveroso provvedere ad un poco oneroso intervento di recupero. Ovvero, smontare gli ingranaggi, portarli in una officina e, dopo una semplice, ma accurata pulitura, esporli al pubblico con le relative note didascaliche.

L’Associazione Storie di Alghero, nel pubblicare questo breve articolo, auspica perciò l’intervento dell’amministrazione comunale per avviare il recupero dell’antico orologio della torre campanaria di Santa Maria, e per esporlo in un idoneo spazio pubblico cittadino.

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